Approfondimenti

McKinsey raddoppia e lavora anche per Colao, i numeri dell’epidemia, Zingaretti da Barbara d’Urso e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di domenica 7 marzo 2021 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30.  Sempre più vicini ai 100mila morti di Covid-19, aumentano i ricoveri e il tasso di positività. Il ministro Speranza: “Conto che entro fine estate tutti gli italiani che vorranno potranno vaccinarsi”. Il caso McKinsey raddoppia: il gruppo di analisti del colosso americano lavora anche per il ministro dell’Innovazione tecnologica Vittorio Colau. Infine, i dati di oggi sull’andamento dell’epidemia da COVID in Italia con i grafici di Luca Gattuso.

I gruppi di consulenza di McKinsey che lavorano al Recovery plan italiano sono due

Il ministero dell’Economia dice che McKinsey non interviene nella definizione dei progetti del Recovery plan, e ci mancherebbe altro, allora chiediamo quale sia il compito del secondo gruppo di analisti del colosso statunitense che sta lavorando al piano per il ministro dell’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale, Vittorio Colao. E’ credibile che il presidente Draghi e il ministro Franco non fossero in grado di costruire una squadra di analisti dai centri studi del ministero e di Banca d’Italia con cui monitorare e coordinare il piano nei tempi stabiliti?

(di Claudio Jampaglia)

I gruppi di consulenza di McKinsey che lavorano al Recovery plan italiano sono due. Il primo, dice il Ministero dell’Economia, con un incarico di elaborazione di uno studio sul piano “Next Generation” e un supporto tecnico-operativo per il monitoraggio dei filoni e per la finalizzazione del piano». La sostanza non è chiarissima e sembra una supervisione. Il ministero ha scritto che MicKinsey non è coinvolta nella definizione dei progetti del piano nazionale. E allora andiamo a vedere il secondo gruppo che lavora per il ministro della innovazione tecnologica e della digitalizzazione, cioè per il manager Vittorio Colao, che in Mc Kinsey ha lavorato 10 anni. Qui non sappiamo ancora quanto valga il contratto, ma abbiamo un’idea di cosa facciano i consulenti: armonizzano tutte le parti contenute nel recovery, relative alle tecnolgie e al digitale cercando di interfacciarsi direttamente con le amministrazioni competenti dei progetti. Quindi all’innovazione non vale ciò che ha scritto il Mef? Attendiamo risposte. Possibilmente prima che cominci il tormentone del “siamo in ritardo” per la consegna fissata il 30 aprile, perché il tempo è sempre stato e sarà anche questa volta il ritornello con cui Mc Kinsey passerà da supervisore a coordinatore. D’altronde i consulenti ci spiegano sono chiamati quando i tempi sono stretti e il carico di lavoro è enorme. Peccato che di analisti il ministero dell’economia ne abbia tanti in casa: al Servizio studi dipartimentali della Ragioneria dello Stato, ad esempio, così apprezzato che la stessa McKinsey nel tempo ha pescato proprio da lì diversi dei suoi analisti. E poi c’è il centro studi di Banca d’Italia, che il ministro Franco e il presidente Draghi conoscono come le loro tasche. E’ credibile che due economisti come loro non siano in grado di costruire una task force di analisti, project manager e supervisori per il piano che contiene tutte le informazioni strategiche sul futuro del Paese? Ma si debbano affidare a un’azienda privata? Sembra più una scelta, quella di invertire le gerarchie tra politica economica e mondo dell’economia.

Sono tre le preoccupazioni che solleva la vicenda McKinsey per Susanna Camusso, già segretaria generale della Cgil e attuale responsabile delle politiche di genere e internazionali per il sindacato, il principale è l’opacità e lo svuotamento del ruolo del pubblico.
Sentiamola nell’intervista.

La consulenza di McKinsey è “un autogol” di Draghi, dice il professore emerito di scienza della politica all’università di Bologna Gianfranco Pasquino, ed è necessario un dibattito pubblico su queste informazioni fondamentali per i cittadini. L’intervista di Luigi Ambrosio.

 

Zingaretti torna da Barbara d’Urso in Tv

(di Anna Bredice)
Ora che non è più segretario del Partito democratico, Zingaretti torna da Barbara d’Urso in Tv questa sera e lo fa con maggiore convinzione. Da lì a quanto si apprende ribadirà che non ha nessuna intenzione di tornare a guidare un partito che pochi giorni fa aveva definito con parole come “vergogna” oppure “degrado”. E’ andato anche troppo oltre per poter fare una marcia indietro e far finta di niente. Lo dirà stasera in una trasmissione seguita da telespettatori che sono elettori trasversali, di partiti diversi, non a caso dopo Zingaretti ci sarà anche Salvini. Scendere nella mischia quindi e parlare a tutti. Un proposito che farebbe pensare che dopo aver guidato il Pd Zingaretti non intenderebbe chiudersi alla Pisana, la sede della Regione Lazio, potrebbe avere altri progetti, sulla linea di ciò che sta sperimentando in Regione con l’ingresso ufficiale dei Cinque stelle in giunta attraverso una assessora. Se questo vuol dire guidare da vicino la campagna elettorale di Roma si vedrà.

Zingaretti avrebbe gradito il sit-in delle sardine ieri davanti al partito, un segno di vitalità lo avrebbe considerato, del resto sono pur sempre quelle che in Emilia Romagna hanno determinato la vittoria di Bonaccini alle regionali, hanno chiesto a Zingaretti di provare a continuare il progetto di Piazza grande, che poi è l’alleanza che si è costruita con il governo Conte.
Il prossimo week end ci sarà l’assemblea del Pd, ora più importante che mai, perché si deve votare o un nuovo segretario fino al 2023 oppure un reggente che porti il partito al congresso ma non subito, almeno dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato. un appuntamento così cruciale che si parla anche di un possibile rinvio. I nomi sono come sempre quelli che rappresentano le tre correnti principali, Zingaretti, poi l’area dem di Franceschini e infine Base riformista fatta dagli ex renziani. Le prime due aree hanno la stragrande maggioranza nell’assemblea ma quello che non è ancora chiaro è cosa vuole fare il Pd superato lo choc delle dimissioni improvvise del segretario.

Con il suo viaggio in Iraq il Papa ha teso la mano al mondo sciita

Oggi il papa è stato a Mosul, la città irachena che solo pochi anni fa era la capitale del cosiddetto stato islamico. Lì si è fermato a pregare davanti alle rovine di una chiesa devastata. Poi si è spostato a Qarakosh, che prima dell’Isis contava circa 50mila cristiani. Oggi ne sono rimasti 20mila. Infine la tappa nel Kurdistan iracheno, a Erbil, dove ha celebrato una messa. “Il terrorismo non ha l’ultima parola”, ha detto Francesco nell’ultimo giorno della sua storica visita nel paese, in cui nessun pontefice era mai stato.

Il servizio di Chawki Senouci
Questo viaggio del Papa verrà ricordato come il suo capolavoro politico. 
Non solo  per la  potenza straordinaria  delle immagini che ci arrivano da Baghdad, Najaf, Qarakosh o Erbil. Perché  un popolo  in   difficoltå  non vive di gesti simbolici anche se sono importanti. In  Iraq    sono concentrati tutti i mali che affliggono l’umanità:  guerre per le risorse, guerre  in nome di un dio, corruzione, abusi di potere, aiuti internazionali condizionati da interessi politici e religiosi. Papa Francesco ha parlato di tutto ciò,  ma l’ha fatto da amico,  come se fosse uno di loro. E incontrando poi il grande ayatollah  Alì Sistani, Papa Francesco ha teso la mano a tutto il mondo sciita, all’Iran in particolare. Nel dicembre 2014 fu insieme all’allora vice  presidente joe biden il grande artefice dell’accordo storico Stati Uniti – Cuba. Teheran e Washington  sperano  in un miracolo bis. Ancora una volta papa Francesco  si conferma  come il più grande uomo politico di questo decennio.
Le sue battaglie per l’ambiente, a fianco dei popoli oppressi, il suo appello “vaccini per tutti” e questo viaggio  meritano di essere premiati con il Nobel per la Pace 2021. Sarebbe un segnale importante per chi chi vuole un mondo migliore dopo  la pandemia.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

Oggi in Italia sono state comunicate 207 morti legate al coronavirus. Il totale nel nostro paese da inizio pandemia sale a 99.785, vicinissimo alla soglia delle 100mila. I nuovi contagi accertati sono quasi 20.800 ed è risultato positivo il 7,6% delle persone sottoposte a tampone, l’1% in più rispetto a ieri. Continuano ad aumentare le persone ricoverate: oggi sono 34 in più in terapia intensiva e 443 in più negli altri reparti covid. Nel pomeriggio il ministro della sanità Roberto Speranza ha spiegato di aspettarsi che altre regioni passino in fascia rossa a causa delle varianti. Poi ha parlato di vaccini: ha detto di non avere nulla in contrario a quello russo Sputnik se le agenzie europea e italiana del farmaco daranno il loro ok, ha annunciato che nei prossimi giorni autorizzerà quello di Astrazeneca anche per chi ha più di 65 anni e ha aggiunto di contare che entro la fine dell’estate tutti gli italiani che lo vorranno potranno farsi fare il vaccino. Ne abbiamo parlato con Luciano Fassari, giornalista di Quotidiano Sanità.

Foto | Roma in zona gialla

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    Un consiglio per la pace a Gaza. Il "board" di Trump, un CdA che gestirà un business miliardario

    Si chiama “Board of Peace” e Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, l’ha pensato come il grande consiglio che guiderà – sulla carta - la ricostruzione di Gaza. Il disegno immaginato da Trump non prevede l'intervento degli organismi internazionali che hanno retto la sovranità del diritto per decenni. Nel futuro di Gaza – almeno per ora – non sono previste presenze come le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio. Il "Board of Peace" richiama molto l’idea di un consiglio di amministrazione (un “board”, appunto), che dovrà gestire un affare economico e finanziario colossale, un consiglio che avrà Trump come presidente. Il piano Trump in 20 punti, al paragrafo 9 recita: "Questo organismo (Board of Peace, ndr) definirà il quadro di riferimento e gestirà i finanziamenti per la ricostruzione di Gaza". Gestirà i soldi, proprio come un CdA che si rispetti. E le logiche finiranno per essere quelle del business e non della convivenza internazionale; dell’interesse privato e non dell’interesse pubblico; dell’autoritarismo che oscura la democrazia. Raffaele Liguori ha intervistato Fabio Armao, docente di relazioni internazionali all’università di Torino. È autore, insieme a Davide Pellegrino, di “Distopia americana. L’impatto della presidenza Trump sul sistema politico americano” (Mimesis, in uscita).

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