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Mario Martone: il mio Danton

“Morte di Danton” è il testo che Georg Büchner scrisse nel 1835, in poche settimane e appena ventunenne, mentre cercava di sfuggire alla polizia dell’Assia, che voleva arrestarlo per avere preso parte a una rivolta.
L’autore del “Woyzeck” non lo sapeva, ovviamente, ma gli restavano appena tre anni da vivere, in gran parte in esilio, a causa dei vari mandati di cattura emessi contro di lui per motivi politici.

Che la sua produzione letteraria e drammaturgica sia stata tanto concitata (eppure straordinaria) proprio per via di quella esistenza veloce, simile a una fiammata, come quella di molti suoi personaggi, a partire da Danton e Robespierre?
I due antichi amici e alleati sono colti da Büchner nell’attimo del massimo antagonismo, che li condurrà entrambi alla morte. Il confronto fra l’attitudine intransigente e spietata di Robespierre e quella tollerante e avversa al Terrore di Danton, permette a Büchner di “fotografare” la Rivoluzione Francese nel suo momento estremo, in cui divora sè stessa.

Alcuni temi sviluppati nelle articolate argomentazioni del testo sono di sorprendente attualità: le classi sociali, il valore dell’amicizia, il materialismo, l’amore ai tempi della rivoluzione.
Gli allestimenti recenti di “Morte di Danton” portano la firma di Giorgio Strehler, Bob Wilson, Thomas Ostermeier, Christoph Marthaler.

Mario Martone ha recentemente debuttato al Teatro Stabile di Torino con il suo allestimento del celebre testo, attualmente in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano. La nuova traduzione è firmata dalla germanista Anita Raja e il cast annovera alcuni fra i migliori interpreti della nostra scena, da Giuseppe Battiston a Paolo Pierobon, da Iaia Forte ad Alfonso Santagata, da Paolo Graziosi a Massimiliano Speziani.

A Cult, il Martone racconta come si arrivato a Georg Büchner dopo avere affrontato in teatro Giacomo Leopardi e al cinema il Risorgimento italiano, per compiere una riflessione sul nostro tempo e sulle passioni umane.

Ascolta l’intervista a Mario Martone

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  • Autore articolo
    Ira Rubini
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    Nel giorno mondiale contro la violenza sulle donne, raccontiamo con Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, i centri antiviolenza, oltre 110 in Italia con differenze però tra Nord e Sud, con quasi 4mila operatrici in stragrande maggioranza volontarie e quasi 30mila donne “ascoltate” all’anno. “Siamo realtà aperte e sempre presenti, le donne arrivano da noi spesso senza appuntamento e si rivolgono a noi quasi sempre liberamente - spiega Carelli - perché il presupposto del nostro intervento è la libertà di scelta della donna, lo sottolineiamo perché è in corso un tentativo di trasformarci in realtà di servizio e per imporre alle donne dei percorsi standardizzati, più istituzionali e di sistema, e non costruiti per ciascuna partendo dal consenso e dalla libera scelta di ogni donna”. Sottofinanziamento, soluzioni solo punitive, negazione della dimensione politica e culturale della prevenzione, la frontiera è sempre la società. Se sono le famiglie a decidere cosa è giusto o meno per l’educazione sessuale, stiamo riproponendo il problema. “Chiediamo al governo di essere coerente: bisogna lavorare sul fronte della cultura e della prevenzione”. La violenza non è solo un atto individuale, ma è resa possibile da scelte politiche e culturali che limitano la libertà delle donne, scrive Di.Re nella campagna “Tutto nella norma” che potete trovare sul sito: direcontrolaviolenza.it

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    Pubblica si occupa di violenza maschile contro le donne. Oggi è il 25 novembre, giornata internazionale dell’ONU per l’eliminazione della violenza di genere. Con la presidente di UN (United Nations) Women Italy, Darya Majidi. E con Barbara Leda Kenny, antropologa, coordinatrice della Fondazione Brodolini, curatrice del sito Ingenere.it

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