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Macron va nel Golfo e incontra (ancora una volta) il principe saudita

Tre paesi del Golfo in due giorni. E una serie di consistenti contratti da firmare, discussioni diplomatiche sulla disperata situazione del Libano, sulla Libia o sull’Iran da portare avanti. O ancora, meeting strategici sulle operazioni di contro-terrorismo da coordinare. Durante il suo viaggio lampo nella penisola araba iniziato questo venerdì, il presidente francese Emmanuel Macron non si farà mancare nulla. Nemmeno l’occasione di stringere la mano del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman davanti ai fotografi, prima di tornare a Parigi. Diventando così il primo grande leader occidentale a riconoscere nuovamente MBS come partner ufficiale, dopo che il principe è stato ostracizzato dalla comunità internazionale per tre anni. Da quando un rapporto dell’ONU, confermato in seguito da altri tra cui uno della CIA, lo ha designato come il mandante dell’omicidio di Jamal Khashoggi. Il giornalista torturato e ucciso all’interno dell’ambasciata saudita di Istambul il 2 ottobre 2018. Da allora, solo il presidente cinese ha ricevuto ufficialmente il principe ereditario. Che l’anno scorso ha anche incontrato segretamente l’allora primo ministro israeliano Netanyahu. Il presidente americano Biden invece, rifiuta persino di parlargli al telefono.

In realtà, gli americani non hanno mai smesso di fare affari e stringere accordi con Riyad. La Casa Bianca ha desegretato il rapporto della CIA ma non ha sanzionato severamente i sauditi e il segretario della Difesa parla regolarmente con MBS. Un modo per ottenere, forse, qualche cosa sul fronte della guerra in Yemen e dei diritti umani, continuando a fare gli interessi militari ed economici del paese. E se lo fanno gli Stati Uniti, perché non potrebbe farlo, più apertamente, anche la Francia? Il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita sono a tutti gli effetti degli alleati e dei partner commerciali importantissimi per i francesi, che sono i terzi esportatori di armi al mondo dopo gli statunitensi e i russi. La Francia, però, ha più bisogno di vendere che i suoi clienti di comprare da lei ed ecco quindi che la questione dei diritti umani passa rapidamente in secondo piano. Dopo la crisi sanitaria e lo smacco subito in Australia per la mancata vendita dei sottomarini francesi, lo storico contratto da 17 miliardi di euro per l’acquisto di ottanta caccia firmato dagli Emirati questo venerdì è una boccata d’ossigeno per l’industria militare del paese. Ed entro la fine del viaggio Macron, che, non dimentichiamolo, è in campagna elettorale, potrebbe portare a casa altri ordini succosi.Poco importa che proprio oggi, a Parigi, diversi dirigenti delle monarchie del golfo tra cui i principi ereditari degli Emirati e dell’Arabia Saudita, siano stati denunciati per crimini di guerra, tortura e finanziamento del terrorismo. Poco importa che uno di loro abbia ordinato l’omicidio di un giornalista. E poco importa che quest’episodio mini ancora di più la credibilità della Francia quando critica dei regimi avversari, visto che agli alleati tutto è concesso.

Foto | Il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman e il presidente francese Macron in occasione di una visita a Parigi, nell’aprile 2018

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    Una mostra fotografica ripercorre i 50 anni di Radio Popolare. Dal 14 dicembre a Milano

    Domenica 14 dicembre alle ore 10, presso la Sala Cisterne della Fabbrica del Vapore, a Milano, inaugura la mostra "50 e 50. La mostra. Radio Popolare 1975 - 2025", una delle prime iniziative organizzate per celebrare il 50esimo anniversario dalla fondazione di Radio Popolare. La mostra racconta i cinque decenni "di onda" attraverso venti storie realizzate dai fotografi che in questi anni sono stati vicini alla radio. Inoltre, la mostra ospiterà un’interpretazione creativa realizzata da Studio Azzurro dei video che ricostruiscono la storia di Radio Popolare. La mostra sarà allestita fino al 25 gennaio. Tiziana Ricci ce la racconta insieme a Giovanna Calvenzi, che ne è la curatrice.

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    L’Europa e il bellicismo crescente delle sue classi dirigenti. L’ultimo caso, quello dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e la postura aggressiva che dovrebbe tenere la Nato. Cosa possono fare il pensiero e la cultura della pace per contrastare l’escalation bellicista e la normalizzazione della violenza? Le risposte possono non essere quelle consuete, soprattutto perché in Occidente stiamo assistendo ad un cambio delle coordinate geopolitiche costruite negli ultimi ottant’anni. Un esempio. Il settimanale «The Economist» ha scritto nella sua rubrica di geopolitica «The Telegram» apparsa oggi sulle pagine online: «In Europa le preoccupazioni per l’inaffidabilità dell’America sotto Donald Trump stanno lasciando il posto a un timore più grande: che, pur presentandosi come il campione della civiltà occidentale, egli consideri ormai le democrazie occidentali reali come avversarie. “Nella Washington di oggi” - scrive il nostro editorialista di The Telegram - l’Europa “è spesso descritta con maggiore disprezzo rispetto alla Cina o alla Russia”. Pubblica oggi ha ospitato Donatella Della Porta, scienziata della politica, e Agostino Giovagnoli, storico.

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    Nell'ultima puntata di 37e2 abbiamo letto la lettera di una persona che ha lavorato come in un Cpr, Centro di permanenza per il rimpatrio, e che con molta amarezza ha deciso di abbandonare il lavoro. La lettera ci è arrivata attraverso la Rete Mai più lager - No ai Cpr con cui siamo in contatto per raccontarvi cosa accade nei Cpr.

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