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Anche due migranti invalidi sul banco degli imputati

Un gruppo di migranti è accusato dalle autorità ungheresi di aver partecipato, nel mese di settembre, a una rivolta di massa avvenuta per cercare di attraversare il confine con la Serbia chiuso in precedenza. Alcuni agenti di polizia, parte di un corpo schierato a difesa del valico di frontiera, erano rimasti feriti nel lancio di pietre da parte dei migranti che cercavano di superare la frontiera. Contro questi ultimi, migranti e rifugiati, erano stati usati lacrimogeni e idranti.

In quel periodo l’Ungheria aveva approvato da poco una legge che considera di fatto un crimine il tentativo di violare il valico di confine protetto. Per gli accusati era quindi iniziato l’iter giudiziario che prevede tra l’altro sette mesi di detenzione. Tra loro due invalidi: Fattoum Hassan, 64 anni, siriana, rimasta cieca a un occhio a seguito di un bombardamento aereo e con problemi all’altro dovuti al diabete, e Faisal Hamad, 29 anni, iracheno, anch’egli ferito nel corso di un attacco aereo in Siria che gli è costato l’uso delle gambe.

Il loro avvocato e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), ritengono non illegale il tentativo dei migranti di attraversare il confine, anche se chiuso, data le drammatica situazione esistente nel loro Paese di origine, e aggiungono che Fattoum Hassan e Faisal Hamad non possono aver preso parte alla sassaiola per motivi legati alla loro invalidità.

È noto che l’attuale governo ungherese è per la linea dura nei confronti del flusso di migranti che l’anno scorso ha visto oltre un milione di persone cercare rifugio in Europa. Budapest accoglie ben poche domande di asilo in più, secondo recenti stime. Dal mese di settembre oltre 2.500 migranti sono stati processati nel Paese per aver tentato di superare clandestinamente la linea di confine. I procedimenti penali si sarebbero conclusi nella quasi totalità dei casi con delle condanne, previste dalla legge approvata lo scorso settembre.

Le associazioni per la difesa dei diritti umani sostengono che il sistema creato dall’esecutivo ungherese è ingiusto e per nulla ispirato da principi umani. È la critica che l’opposizione politica e gli ambienti progressisti della società civile ungherese rivolgono al governo e ai provvedimenti da esso adottati a fronte della crisi migranti. Il primo ministro Viktor Orbán e i suoi collaboratori, però, continuano a sostenere la linea dura e ad affermare che quello da loro intrapreso è un percorso politico giusto, fatto di scelte che, al contrario di quelle di Bruxelles, si pongono realmente il problema della difesa dei confini di Schengen.

Lo scorso settembre Orbán ha più volte affermato di considerare gli imponenti flussi migratori in arrivo un vero e proprio pericolo per la sopravvivenza dell’Europa soprattutto come entità culturale. In precedenza il primo ministro di Budapest aveva detto in diverse occasioni pubbliche di non ritenere positivo il fenomeno dei flussi migratori da nessun punto di vista.

Lo scorso anno, proprio in questo periodo, i cittadini ungheresi hanno ricevuto un questionario che chiedeva il loro parere sulla crisi dei migranti con domande tese a mettere in cattiva luce la figura del rifugiato e a stabilire un nesso tra il fenomeno migratorio e quello del terrorismo internazionale. Iniziativa anch’essa criticata pesantemente dall’opposizione di centrosinistra e da associazioni e gruppi di attivisti che in diversi casi hanno organizzato manifestazioni contro la politica del governo guidato dal Fidesz la cui ostilità nei confronti dei migranti è largamente condivisa dagli ultranazionalisti di Jobbik.

Da tempo il partito governativo è impegnato in una raccolta di firme per un referendum contro il sistema delle quote obbligatorie di accoglienza voluto dall’Unione europea. Per l’esecutivo infatti a nessun Paese può essere imposto di accettare migranti tanto più che, come dice Orbán, queste persone sono portatrici di religioni e culture troppo diverse dalla nostra e quindi incompatibili.

 

Massimo Congiu è direttore dell’Osservatorio Sociale Mitteleuropeo, un’agenzia che si propone di monitorare il mondo del lavoro e degli affari sociali in Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca.

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    Mara Morini politologa dell’Università di Genova, coordinatrice dello Standing Group “Russia e spazio post-sovietico” della Società Italiana di Scienza Politica (SISP), lascia poche chance all'accettazione da parte di Putin del "piano" messo a punto in Florida e presentato oggi dall'inviato speciale Witkoff al Cremlino, mentre Gianpaolo Scarante, docente all'Università di Padova, già Ambasciatore e Capo di Gabinetto del ministero degli Esteri sottolinea come la tregua purtroppo si fissi sulla linea del fronte e poi le negoziazioni dovranno riuscire a ristabilire la sovranità dei territori, ma come anche l'aver affidato le trattative a uomini che non rispondo ai Parlamenti renda molto opaco tutto il processo. Donatella Di Cesare, filosofa e scrittrice, esperta internazionale di "negazionismo", l'ultimo suo libro per Einaudi si intitola Tecnofascismo, chiede conto alla fiera Più Libri Più Liberi promossa dall'Associazione italiana editori a Roma della presenza tra gli espositori della casa editrice di estrema dx Passaggio al Bosco. Infine Gianmarco Bachi annuncia "il corteo" di ascoltatrici, ascoltatori, lavoratori, collaboratrici e chi più ne ha più ne metta il prossimo 14 dicembre la mattina che dalla sede della radio in via Ollearo 5 si dirigerà alla Fabbrica del Vapore per la fine della maratona radiofonica di 50 ore e il via alle celebrazioni dei 50 anni di Radio Popolare.

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