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L’Italia è sempre più divisa in due

Erano gli ultimi, e rimangono gli ultimi. L’inizio di ripresa c’è, sale la fiducia, ma le diseguaglianze aumentano. Poveri e disoccupati, precari, buona parte di donne e di giovani non beneficiano di questa risalita dell’economia, dopo la dura recessione, partita nel 2008, e che ha avuto nel 2013 il picco più alto.

Ora la caduta si è arrestata e la ripresa è trainata da una modesto aumento dei consumi, dalla propensione al risparmio delle famiglie, e del reddito disponibile. È l’Italia raccontata dall’Istat e dal Cnel nel rapporto 2015 sul Bes (Benessere equo e sostenibile), un indicatore che va oltre quello puramente economico del Pil, prodotto interno lordo.

Il Bes è composto da 134 voci che misurano voci come lavoro, istruzione, ambiente, cultura, sicurezza, e danno una fotografia più profonda delle realtà, della qualità della vita e dello sviluppo. E la giusta richiesta alla politica di diversi economisti e Associazioni di affiancare l’indicatore del Bes a quello del Prodotto interno lordo non ha trovato per ora ascolto.

Analizzando il rapporto Bes viene fuori un Paese che sta lentamente ritrovando fiducia, in cui c’è più ottimismo sul mercato del lavoro, ma guardando dentro i dati emerge un’Italia che resta divisa tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud, tra giovani e anziani, tra uomini e donne.

Appare un Paese che ha perso il senso di unitarietà, che non sa tenere conto delle differenze e delle diseguaglianze. E la politica riflette tutto ciò: è inerte, irresponsabile, senza una visione d’insieme, una direzione comune. Un Paese diseguale in cui – come osservava il Censis – non c’è un vero conflitto sociale come in passato, conflitto che era stato motore di progresso. E un Italia che sta uscendo dalla crisi, la caduta dell’economia si è arrestata, e che ora è in fase di transizione. Ma l’uscita dalla recessione presenta un paese sfilacciato e diviso. In particolare si accentua lo storico divario tra Nord e Sud.

Un’Italia tagliata a metà, che porta con se diseguaglianze socio-economiche. Il Mezzogiorno oltre avere un reddito medio disponibile molto più basso, ha anche la più alta differenza tra ricchi e poveri: il 20 per cento della popolazione con redditi più alti ha una ricchezza quasi sette volte superiore al 20 per cento della popolazione più povera. Al Nord è di 4,6.

Per il 2015 è prevista una crescita del Pil dell’ 1 per cento al Nord e dello 0,1 per cento al Sud. Nel 2014, per il settimo anno consecutivo, il Pil del Mezzogiorno è stato ancora negativo (-1,3 per cento) ; il divario del Pil pro capite (il più efficace indicatore) è tornato ai livelli di 15 anni fa. Nel 2014 – osserva lo Svimez – quasi il 62 per cento dei meridionali (più del doppio rispetto il Centro-Nord) guadagnava meno di 12mila euro annui. Negli anni di recessione 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati e gli investimenti nell’industria sono scesi addirittura del 59 per cento.

In questa contesto cresce la deprivazione, spiega il rapporto sul Bes: si rinuncia ad alcune cure, come il dentista , il 20,6 per cento della popolazione non si può permettere di cambiare abiti consumati, un quinto non può concedersi svaghi, un terzo di cambiare mobili vecchi, fare gite scolastiche.

Il cosiddetto “working poor”, il lavoro povero, a bassa remunerazione e a termine, segna la stagnazione che colpisce l’Italia, il Mezzogiorno in particolare. Un lavoro povero in cui resta il divario di genere, anche se – osserva l’Istat – si è ridotto. Rimane il dato: la partecipazione delle donne al lavoro è tra le più basse in Europa, quasi il 70 per cento di uomini occupati contro il 50 per cento di donne. Anche la qualità del lavoro vede le donne svantaggiate, spesso impiegate nel terziario o in mansione a bassa specializzazione. Non solo differenze tra donne e uomini, ma anche tra giovani e anziani. Cresce di più il tasso di occupazione per gli over 55 che quello dei più giovani (seppure in leggero miglioramento). Ma per gli under 34 anni peggiora la qualità del lavoro e soprattutto aumenta il timore di perderlo.

In questo contesto cresce la dispersione scolastica con un marcata differenza: al Nord è del 12 per cento, al Sud quasi il 20 per cento. Ha molte meno probabilità di abbandonare gli studi chi proviene da famiglie in cui i genitori hanno conseguito un titolo di studio elevato.

Un problema che ci riporta ai cosiddetti Neet (acronimo inglese: Not in Education, Employment or Trainig), coloro che non studiano e non lavorano. I Neet in Italia sono circa 2,5 milioni: di questi il 32 per cento è al Sud, una percentuale doppia rispetto il Nord.

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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    Stuart Murdoch: "Il mio primo romanzo non è una biografia, ma racconta la mia storia e la storia della mia malattia"

    Il leader dei Belle & Sebastian racconta "L'impero di nessuno", il suo libro d'esordio, ai microfoni di Volume. Un libro che lui stesso definisce di autofiction: "La maggior parte delle cose che accadono a Stephen, il protagonista, sono successe anche a me". 10 anni fa, Murdoch aveva scritto una canzone con il medesimo titolo: "Il romanzo tocca gli stessi temi: Stephen ha un'amica del cuore, Carrie, entrambi hanno la stessa malattia e si sostengono e ispirano a vicenda". La malattia è l'encefalomielite mialgica: "Mentre scrivevo immaginavo il mio pubblico, e il mio pubblico era il gruppo di supporto per l’encefalomielite che frequentavo negli anni Novanta. Immaginavo di scrivere per loro, e questo mi ha aiutato a trovare il tono giusto". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Stuart Murdoch.

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    Il 7 dicembre la Scala apre la stagione con l’opera censurata da Stalin

    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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