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L’indagine su Meloni è una nuova occasione di scontro con la magistratura

Meloni ANSA

La notizia, enorme nella sua portata, irrompe attraverso i social: solo in seguito la riprendono agenzie e giornali. È un video di neanche due minuti pubblicato sulla pagina Facebook della Presidente del Consiglio e tre minuti dopo mandato ai giornalisti. In pochi secondi sui social i commenti degli utenti sono tutti per lei, dalla sua parte e contro il nemico di sempre, ma ora nuovissimo contro di lei: i giudici. Davanti all’iscrizione nel registro degli indagati per Giorgia Meloni sul caso Almasri  la reazione è stata quella abituale, ma oggi elevata all’ennesima potenza: il vittimismo, l’insinuazione di un complotto. Lei che si erge contro i nemici che non vogliono che continui a governare. “Non sono ricattabile, non mi faccio intimidire, vado avanti a testa alta”, dice. Tempo fa “non sono ricattabile”, lo disse a Silvio Berlusconi, oggi con Berlusconi invece condivide il nemico, i magistrati, e trova un grandissimo alleato, che forse non avrebbe voluto, ovvero Matteo Salvini. “Vergogna, vergogna”, dice il capo della Lega, che sottolinea come l’indagine su Giorgia Meloni arrivi dallo stesso procuratore che lo processò a Palermo. Meloni si atteggia a vittima di quel potere che “non vuole che lei cambi le cose”, insinua complotti addirittura citando la stessa Corte penale internazionale, “Curiosamente, dice, la Corte emette il mandato quando Almasri stava entrando in Italia”. E naturalmente, in men che non si dica, tutto il governo si stringe attorno a lei, nella stessa linea, evocando possibili motivi di vendetta da parte dei magistrati, la separazione delle carriere in particolare. Si tratta di una sorta di giustizia ad orologeria secondo la visione del governo, che evoca in qualche modo anche il ministro Giuli, e soprattutto Salvini, il quale da ora in poi potrà dire di essere stato il primo a vedere il pericolo. È probabile a questo punto che nemmeno Santanchè lascerà il governo, che diventi una battaglia di tutti: quella contro un altro potere dello Stato.

  • Autore articolo
    Anna Bredice
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    Violenza: riprendersi il potere sulla propria vita

    Nel giorno mondiale contro la violenza sulle donne, raccontiamo con Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, i centri antiviolenza, oltre 110 in Italia con differenze però tra Nord e Sud, con quasi 4mila operatrici in stragrande maggioranza volontarie e quasi 30mila donne “ascoltate” all’anno. “Siamo realtà aperte e sempre presenti, le donne arrivano da noi spesso senza appuntamento e si rivolgono a noi quasi sempre liberamente - spiega Carelli - perché il presupposto del nostro intervento è la libertà di scelta della donna, lo sottolineiamo perché è in corso un tentativo di trasformarci in realtà di servizio e per imporre alle donne dei percorsi standardizzati, più istituzionali e di sistema, e non costruiti per ciascuna partendo dal consenso e dalla libera scelta di ogni donna”. Sottofinanziamento, soluzioni solo punitive, negazione della dimensione politica e culturale della prevenzione, la frontiera è sempre la società. Se sono le famiglie a decidere cosa è giusto o meno per l’educazione sessuale, stiamo riproponendo il problema. “Chiediamo al governo di essere coerente: bisogna lavorare sul fronte della cultura e della prevenzione”. La violenza non è solo un atto individuale, ma è resa possibile da scelte politiche e culturali che limitano la libertà delle donne, scrive Di.Re nella campagna “Tutto nella norma” che potete trovare sul sito: direcontrolaviolenza.it

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    Pubblica si occupa di violenza maschile contro le donne. Oggi è il 25 novembre, giornata internazionale dell’ONU per l’eliminazione della violenza di genere. Con la presidente di UN (United Nations) Women Italy, Darya Majidi. E con Barbara Leda Kenny, antropologa, coordinatrice della Fondazione Brodolini, curatrice del sito Ingenere.it

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    Donald Trump e la svolta conservatrice della democrazia USA. A cura di Roberto Festa e Fabrizio Tonello.

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