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Leve Palestina, un inno globale di resistenza e speranza

manifestazione pro Palestina a Milano 24 febbraio 2024 - leve palestina

Partiamo da uno scambio visto nei giorni scorsi su Facebook, fra due utenti che scrivono in inglese: uno posta la foto di un muro di – andiamo a memoria – una università americana, con la scritta a vernice in stampatello “Leve Palestina”; l’altro commenta sarcasticamente che non sanno neanche scrivere, evidentemente pensando che lo slogan volesse essere per esempio “Love Palestina”; al che il primo ribatte che è il suo interlocutore che non ha capito, perché chiaramente l’intenzione dell’anonimo sostenitore della causa palestinese era proprio di scrivere quello che ha scritto, e linka un articolo nel sito di TRT World, la radiotelevisione pubblica turca, che tre mesi fa raccontava la storia e l’attualità di Leve Palestina: che è il titolo di una canzone. Nel 1972 a Göteborg si costituisce un gruppo musicale militante, formato da svedesi e palestinesi e guidato dal cantante George Totari, palestinese cristiano nato a Nazareth due anni prima della Nakba, nel 1946: il nome del gruppo è tutto un programma: Kofia, cioè la kefiah, la sciarpa simbolo della identità palestinese. Come raccontava a TRT World, Totari, arrivato nel ‘67 in Svezia dopo la guerra dei sei giorni, si rende conto che nel paese che lo accoglie è difficile criticare apertamente Israele, e che la gente, che sia di destra o di sinistra, per lo più non sa niente della Palestina. Di qui l’idea di formare un gruppo musicale, che si dà come missione quella di far conoscere la lotta del popolo palestinese, e che dunque sceglie di esprimersi sia in arabo, insegnando a cantare in arabo ai cantanti svedesi del gruppo, sia in svedese. Importante città portuale e industriale, negli anni settanta Göteborg è teatro di forti lotte operaie e di grandi mobilitazioni internazionaliste, in particolare contro la guerra del Vietnam: il gruppo musicale di Totari comincia a partecipare sistematicamente alle manifestazioni, sensibilizzando alla causa palestinese. Nel ‘76 Kofia pubblica il primo dei suoi album, e continua poi fino alla seconda metà degli anni ottanta: è soprattutto Leve Palestina a fare presa, in svedese “Viva la Palestina”, una canzone vivace, ritmata, costruita su un efficace meccanismo di chiamata e risposta, che parla della bellezza della terra palestinese, di resistenza armata e di costruzione di una società socialista, con il ritornello che inneggia alla Palestina e alla lotta contro il sionismo. Nel suo piccolo, l’attività di Kofia contribuì al cambiamento di percezione della questione palestinese in Svezia, che nel 2014 fu il primo paese dell’Unione Europea a riconoscere la Palestina. All’epoca i socialdemocratici erano tornati al governo dopo otto anni di opposizione: ma qualche anno dopo sono stati gli stessi socialdemocratici, con la ministra degli esteri Ann Linde, nominata nel 2019, ad avviare un cambio di rotta: proprio nel 2019 – ben prima del clima attuale di repressione a livello internazionale delle espressioni di sostegno alla causa palestinese – Leve Palestina, intonata da manifestanti durante la sfilata del primo maggio a Malmö, suscitò lo scandalo della destra ma anche la condanna da parte socialdemocratica in parlamento, e il governo socialdemocratico invitò a bandire la canzone e la polizia a reprimere chi l’avesse cantata. Oggi, con al governo una coalizione di destra di cui fanno parte anche i Democratici Svedesi, partito di matrice neonazista, il sostegno svedese a Israele è diventato – come osservava Le Monde nel novembre scorso – ancora più drastico. Ma la lunga marcia di Leve Palestina non si è fermata: da ottobre la canzone spopola su Instagram e Tik Tok, ed è diventata un inno adottato in tante manifestazioni in tutto il mondo contro il massacro a Gaza.

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    Referendum 8 e 9 giugno, lavoro e cittadinanza. Una quarantina di personalità della ricerca e dell’università hanno lanciato un appello al voto per i cinque referendum. I quesiti chiedono di: «Vivere da cittadini», riducendo da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto per ottenere la cittadinanza italiana ai maggiorenni stranieri; «Vivere vite meno precarie», riducendo la possibilità di usare contratti di lavoro a tempo determinato; «Lavorare senza licenziamenti illegittimi», riducendo le possibilità di licenziamenti senza giusta causa; «Lavorare senza discriminazioni», riducendo le possibilità di licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese; «Lavorare senza infortuni», riducendo i rischi di incidenti e morti sul lavoro. Ospiti di Pubblica, per parlare di partecipazione, due firmatari/e: Filippo Barbera, sociologo dell’università di Torino e Donatella Della Porta, scienziata politica alla Scuola Normale Superiore di Firenze. Diverse le domande. E’ arrivato il momento di abbassare la soglia del 50% di partecipazione per rendere valido il referendum? Perchè fallisce la partecipazione? Quanto c’entra la complessità del quesito, la credibilità dei proponenti? «Non possiamo arrenderci all’assenteismo, ad una democrazia a bassa intensità», ha detto il presidente Mattarella per il 25 aprile. Il capo dello stato ha lasciato, però, inesplorate le ragioni profonde dell’astensione, ragioni che risiedono anche nell’impoverimento sociale, oltre che economico, del lavoro. Ha scritto la studiosa, dirigente dell’Istat, Linda Laura Sabbadini: «Il lavoro non è solo un mezzo per guadagnarsi da vivere: è la base della coesione sociale di un paese».

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