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“Lega e 5 Stelle non hanno una strategia”

Vinitaly non ha portato consiglio.

Lega e Movimento 5 Stelle rimangono ciascuno sulle proprie posizioni anche dopo i brindisi e la settimana si è aperta con la stroncatura, da parte di Salvini, dell’apertura a un dialogo per un governo istituzionale da parte del Partito Democratico. 

Il presidente della Repubblica, Mattarella, deve prendere una decisione importante e potrebbe affidare alla presidente del Senato, Casellati, un mandato esplorativo. Ma se qualcosa non si sbloccherà, il governo non si potrà fare.

Abbiamo raggiunto Aldo Giannuli, storico, ex collaboratore del Movimento 5 Stelle. Lega e 5 Stelle non hanno una strategia – afferma – e si limitano a un calcolo a brevissima scadenza.

Lei conosce bene il Movimento 5 Stelle. Lo vede davvero un governo Lega-5 Stelle?

Sì, in un film di fantascienza sì, si può vedere. Ipotizzando un governo Lega-5 Stelle restano invariati i due scogli: che ne facciamo di Berlusconi, inaccettabile per i Cinque Stelle, inseparabile tutto sommato per la Lega, che non lo ama, sia chiaro. Mollare Berlusconi significherebbe pregiudicare il secondo punto: chi fa il Presidente del Consiglio? Se Salvini si presenta come capo del centrodestra pesa il 36%, se si presenta come leader della Lega pesa il 17%, quindi a quel punto obiettivamente la Presidenza del Consiglio è a Di Maio. E lui che fa, fa il cavalier servente?
Obiettivamente non vedo una soluzione, un po’ la psicologia degli uomini è quella che è, perché la soluzione in altri tempi sarebbe stata ‘va beh, prendiamo un terzo personaggio, componiamo un governo magari di amici, non proprio di militanti, e intanto vediamo come vanno prima le regionali e poi le europee’. Questo non è nella logica degli attuali protagonisti, per cui sinceramente come supereranno questi due punti? Per non dire poi delle divergenze politiche. In caso di una nuova crisi siriana o ucraina, cosa hanno da spartirsi i Cinque Stelle che fanno gli ultra-atlantici e Salvini che fa il filo-russo?

La sorprende questa posizione filo-atlantica assunta da Di Maio all’indomani dei bombardamenti occidentali?

Di Maio pur di fare il Presidente del Consiglio farebbe il filo-venusiano, questo ormai è evidente. Per quello che vale, perché poi un domani magari cambia posizione, questo è il prezzo che lui cerca di pagare per entrare nel salotto dei poteri forti. Non so però quanto lo reggerà agli occhi della sua base, questa è la domanda che dobbiamo porci.

Perché la base del M5S, lo andiamo dicendo da tempo, è composita e i flussi ci dicono che i voti li ha presi anche dalla sinistra che forse quelle parole forse non le ha apprezzate molto.

Ha preso i voti soprattutto da sinistra, basta vedere l’analisi dei flussi elettorali. Il grosso dei voti dei Cinque Stelle viene obiettivamente dal PD, da SEL o cose di questo tipo, o da quello che fu l’Italia dei Valori. Quindi il grosso dell’elettorato è quello, non tutto l’elettorato di sinistra è poi anti-americano o pacifista, ma non c’è dubbio che ci sia una forte componente che è anti-americana, anti-atlantica e pacifista.

Questa è stata descritta come una partita di scacchi, o magari assomiglia di più a una partita di poker dove c’è qualcuno che sta puntando a far saltare il banco?

Secondo me somiglia di più a una rissa da saloon fra ubriachi con il Presidente della Repubblica che è un vecchio gentiluomo chiamato a sedare il tumulto. Gli scacchi sono un gioco di strategia, qui la strategia dove sta?

Qual è la strategia del Movimento 5 Stelle che continua ad insistere su “O Di Maio premier o non se ne fa nulla”?

La strategia del Movimento 5 Stelle non esiste. Tutto sommato esiste un pochino di più nella Lega, ma questi sono partiti che non pensano in termini strategici, pensano in termini di situazione attuale e al massimo c’è il problema della prossima settimana. Più in là non vanno, la loro visuale è questa, non hanno una capacità di elaborazione complessiva di una linea politica.

Stanno puntando a tornare al voto perchè i sondaggi dicono che potrebbero andare ancora meglio di così?

Sì, in astratto sì. In concreto, però, gli elettori non amano affatto le nuove elezioni, tutto sommato anche con qualche ragione. Se entri nella campagna elettorale come quello che ha voluto le nuove elezioni, poi paghi il conto. Successe ai socialisti nel 1972/1976, i sondaggi li davano in aumento e loro provocarono lo scioglimento delle Camere e alla fine non solo l’avanzata non ci fu, ma arretrarono.

Se lei fosse il segretario del PD, come si comporterebbe in questo momento?

Lei mi vuole proprio male (ride). Facendo un grande sforzo di fantasia, se fossi il segretario del PD provvederei a portare i libri in tribunale e a sciogliere il partito come si fa con le aziende. È un partito che non ha futuro, probabilmente il PD risponderà all’appello di Mattarella. Se si fa un governo del Presidente che oggi è l’ipotesi più consistente, il PD potrebbe votare la fiducia a un governo del Presidente, questo sì.

Foto | Quirinale
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    Luigi Ambrosio
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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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