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L’attivismo ambientale che uccide: il report dell’Ong Global Witness

ambiente

 

Questa è la voce di Chut Wutty, un uomo cambogiano e un attivista ambientale. Fu una delle sue ultime interviste rilasciate, nel 2010: poco dopo, Wutty fu ucciso. In questo audio raccontava la situazione nella foresta Prey Lang, una delle ultime distese di alberi del Sud Est asiatico, che tra il 2001 e il 2014 vide un tasso di disboscamento illegale che fu il più rapido al mondo. Wutty venne ucciso a causa delle sue azioni di attivismo ambientale, perché denunciava la scomparsa della foresta, dava fastidio.

Dall’anno della sua morte, la Ong Global Witness, che ha sedi in Inghilterra e negli Stati Uniti, tiene il conto di tutti gli attivisti uccisi per le loro battaglie a difesa dell’ambiente. Negli ultimi dieci anni sono stati più di 1.700, racconta l’ultimo report di Global Witness, pubblicato nelle scorse settimane.

Nel 2021 ci sono state 200 vittime, più di una ogni due giorni. È interessante osservare la loro distribuzione: il 39% degli attivisti uccisi era indigeno, nonostante le comunità indigene rappresentino solo il 5% della popolazione mondiale. La maggior parte delle uccisioni avviene attorno a territori ricchi di risorse naturali. L’Amazzonia in primis: Brasile e Colombia sono stati nel 2021 i Paesi che hanno visto un numero più alto di morti. Il Messico però è il primo della lista. Per l’Africa invece tra i territori più martoriati c’è il Parco Nazionale del Virunga, in Repubblica democratica del Congo. È considerato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, ed è anche casa del gorilla di montagna, una specie protetta. Allo stesso tempo, il territorio è controllato da gruppi militari che ne gestiscono le risorse in modo illegale. Si calcola che i ranger uccisi lì siano stati più di 200, a partire dal 2008.

Vengono colpiti in modo particolare anche i piccoli agricoltori. Le piantagioni su larga scala cancellano l’agricoltura famigliare su piccola scala. I contadini devono rinunciare ai loro campi e spesso vengono ignorati negli accordi di compravendita dei territori. Chi è espropriato, spesso senza alcun risarcimento, si ritrova in uno stato di povertà tale da non riuscire più a garantire un sostentamento alla propria famiglia. Opporsi alla privatizzazione dei terreni è naturalmente una conseguenza che espone a un pericolo.

La crisi climatica è oggi tra i temi centrali per le opinioni pubbliche. Per risponderle, per difendere ecosistemi ambientali in via di estinzione, c’è anche chi si gioca la vita.

Chiara Vitali
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    Redazione
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