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Gran Bretagna, è di nuovo il tempo della guerra

Il titolo più clamoroso è stato forse quello di Metro, quotidiano gratuito distribuito (appunto) nella metro londinese, che martedì mattina recitava: “Il voto libero di Corbyn porta la Gran Bretagna sull’orlo della guerra”.

Indipendentemente dalla forma, la sostanza è però questa. La marcia indietro del leader laburista e la decisione di concedere libertà di voto ai suoi parlamentari sulla questione dell’avvio dei raid in Siria contro l’Isis permetterà molto probabilmente a David Cameron di ottenere il via libera al piano.

Al momento sono una sessantina i parlamentari del Labour favorevoli ai raid, un numero più che sufficiente per dare luce verde ai bombardamenti.

La decisione, presa lunedì dopo un tesissimo incontro con il consiglio dei ministri ombra, ha sottoposto Jeremy Corbyn, segretario del partito laburista, a un fuoco di fila da parte della sinistra e ha accelerato una crisi interna al Labour che potrebbe portare, nel caso estremo, alle dimissioni dello stesso Corbyn.

Dalle colonne del Sun, il parlamentare di Rochdale Simon Danczuk (destra blairiana) ha già chiesto le dimissioni del segretario “perché non è possibile continuare con questa follia, il Labour ha raggiunto il punto di non ritorno”.

A sinistra Nicola Sturgeon, leader dell’SNP (Scottish National Party), ha commentato: “Quindi un partito che dice di essere contro i bombardamenti ha appena reso più probabili i bombardamenti stessi?”.

Diane Abbott, uno dei principali alleati di Corbyn all’interno del Labour, ha dichiarato che un voto libero equivale a “consegnare la vittoria” a Cameron.

Più di un osservatore tuttavia ha notato che Corbyn è stato lasciato praticamente senza scelta. Il segretario laburista è entrato al meeting dello shadow cabinet di lunedì con una posizione e ne è uscito due ore dopo con una doppia sconfitta.

L’idea iniziale di Corbyn, cui avrebbe dovuto contribuire la pubblicazione di un sondaggio secondo cui il 75% degli elettori del Labour sarebbero contrari ai raid, era quella di convincere i ministri dissidenti.

Nulla di più sbagliato: questi ultimi, secondo le notizie riportate dalla stampa, avrebbero minacciato il segretario di dimissioni in massa nel caso in cui non fosse stato concesso un voto libero.

Come extrema ratio, il segratario laburista ha tentato di far passare un piano con la concessione del voto libero, ma con un’indicazione di contrarietà ai raid come posizione ufficiale del Partito; neanche questa proposta è però passata. La conclusione è stata una sconfitta per Corbyn su tutti i fronti.

Al momento il partito è diviso in due. Su diciotto ministri ombra, otto sono favorevoli ai raid (tra questi il segretario agli Esteri ombra Hillary Benn e il numero due del partito Tom Watson), tre sono indecisi e 7 sono contrari.

Il dibattito di mercoledì, che andrà avanti per buona parte della giornata, si aprirà con Corbyn che perorerà la causa del no e si chiuderà con Benn, il segretario agli Esteri ombra, che parlerà a favore del sì.

Un’immagine più che calzante per un Labour spaccato in due. Oggi più che mai.

  • Autore articolo
    Federico Simonelli
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