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La sfida della censura: raccontare la guerra senza nominarla

La censura a Mariupol

La Russia ha vietato il giornalismo professionale, ci ha cancellati proprio nel momento in cui i cittadini russi e il mondo intero avevano più bisogno di noi”. Con queste parole, il giornale russo Novaya Gazeta annunciava l’apertura di Novaya Gazeta Europe, dopo che il Roskomnadzor (il Servizio federale per la supervisione dei media) aveva ordinato la chiusura della testata russa. Sono partiti da un canale Telegram, poi un profilo Twitter, e – da ieri – hanno anche un sito, dove pubblicano notizie in inglese e in russo. “Qui – scrive il direttore Kirill Martynov – diremo la verità al mondo intero sulla Russia e sulla guerra contro l’Ucraina, senza preoccuparci di quello che pensa il Cremlino”.
È passato circa un mese e mezzo da quando la Duma ha approvato la legge contro le fake news sulla guerra. Da quel momento, uno dopo l’altro giornali, canali televisivi e stazioni radiofoniche indipendenti sono stati costretti alla chiusura, lasciando in Russia una landa mediaticamente desolata, priva di informazione non infarcita di propaganda. Negli ultimi giorni, poi, la morsa si è intensificata, e diversi giornalisti sono stati arrestati per i loro articoli. Il 13 aprile, la polizia ha condotto tre arresti coordinati in tre aree diverse del paese. Mikhail Afanasyev, un giornalista investigativo, è stato arrestato dopo aver pubblicato un’inchiesta su alcuni membri della guardia nazionale russa che si erano rifiutati di combattere in ucraina. Dopo l’arresto, è stato portato in un campo di detenzione in Siberia. Sergei Mikhailov, fondatore del LIStok weekly, è stato arrestato nella regione di Mosca, mentre un collaboratore di un sindaco che gestiva un canale Telegram è stato portato a Elitsa, nel Caucaso del nord. Tre arresti così sincronizzati, sembrano suggerire una nuova campagna coordinata. Fino ad ora, sono almeno 28 i giornalisti arrestati sotto questa legge.
Fare il reporter è sempre più difficile in Russia. Molti sono scappati, e cercano di continuare a fare il loro lavoro dall’estero, ma per chi rimane nel paese, è praticamente impossibile avere accesso ad un’informazione indipendente.

Tra le pieghe della propaganda, però, se si legge con attenzione, oltre la censura si può ancora trovare un barlume di verità. Qualche giorno fa, sul giornale russo Kommersant – uno dei più letti e autorevoli giornali economici del paese – è apparso un articolo. Il titolo era: “Qui impari velocemente, altrimenti muori. I corrispondenti di “Kommersant” da Mariupol”. L’articolo è molto lungo, ci sono tante descrizioni e, soprattutto, sono riportati molti dialoghi che il giornalista Alexander Chernykh ha avuto con gli abitanti della città. Ovviamente non si fa mai uso della parola guerra, bandita dalla stampa russa – ma è impossibile non leggerla tra le righe.

Raccontando il suo arrivo a Mariupol, Chernykh scrive:
“La cosa più terribile è che le strade di Mariupol sono indistinguibili da dozzine di città russe. Ai primi piani ci sono esattamente le stesse farmacie, i negozi di fiori, gli spillatori di birra e gli sportelli delle banche. Solo i marchi sono diversi, ma ora questa differenza è stata cancellata. O meglio, è bruciata.”
Poi il racconto continua. Il giornalista descrive la distruzione, la desolazione e la depressione di quello che altro non può essere se non guerra. A un certo punto, incontra un uomo. É un pensionato. “Vieni dalla Russia? – Gli chiede – e che ne dite di noi in Russia?”
“Dicono in TV che i nostri militari vi hanno liberati”, risponde il giornalista. A questo punto la replica del pensionato è sorprendente. O meglio, non tanto la sua risposta, ma il fatto che il giornale abbia scelto di pubblicarla. “Liberati? E da cosa ci avete liberati? Dalla nostra Filarmonica? Dalla nostra pensione? Dalla nostra città? Bene grazie”.
Kommersant non è un giornale d’opposizione. Il suo proprietario è Ališer Usmanov, uno degli uomini più ricchi della Russia, un oligarca molto vicino a Vladimir Putin. Forse è proprio il ruolo e l’importanza del suo proprietario a renderlo in qualche modo inattaccabile, ma ciò che conta è che spesso, quando sottoposti a censura, è la verità nascosta dietro gli angoli, sepolta sotto la propaganda e la disinformazione quella che riesce a penetrare più a fondo. Basta saper leggere i messaggi.

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    Martina Stefanoni
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