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La rivoluzione che fa paura all’Europa

Carles Puigdemont, diventato in pochi giorni uno dei politici più famosi del mondo, ha già fatto un passo indietro. Difficilmente ne farà due. Soprattutto dopo la chiusura del governo spagnolo.

“Abbiamo chiesto il dialogo, hanno risposto con l’articolo 155. Abbiamo capito”. Così la notte scorsa, su twitter, il presidente catalano. Sulla stessa linea il suo vice Oriol Junqueras: “Presidente Rajoy, la Catalogna si aspetta un dialogo sincero non nuove minacce”. Qui non si fidano della velata promessa di riforma della costituzione, fatta ieri da popolari e socialisti.

Da Barcellona non c’è stata una risposta ufficiale alla richiesta di chiarimenti da parte di Madrid. Sulla carta c’è tempo fino a lunedì.

Ma di fronte al rifiuto di un negoziato alla pari è probabile che Puigdemont vada avanti. Non sappiamo come e quando, ma parliamo di giorni. All’interno del fronte indipendentista, seppur abbia prevalso finora la componente più moderata, c’è chi chiede di proclamare la secessione entro lunedì. E poi c’è l’opzione di elezioni anticipate.

Puigdemont – lo ha fatto con il discorso di martedì – è molto attento alle sensibilità della comunità internazionale. Ma allo stesso tempo non può non tener conto delle aspettative di molti catalani, che si mobilitano da anni.

Non dobbiamo sottovalutare la forza della base sociale dell’indipendentismo, sempre più determinata. “Ci aspettiamo una repressione molto dura – ci hanno detto diverse persone in queste ultime ore – ma non ci sono altre strade percorribili”.

Nessuno osa immaginare cosa possa succedere nei prossimi giorni.

Può sembrare assurdo, nel 2017 in un paese europeo, ma quella catalana è una rivoluzione. Per questo motivo l’Unione Europea è spaventata. È un fenomeno nuovo, che dall’esterno non si vuole o non si riesce a comprendere. In Spagna perché mette in discussione l’unità della nazione spagnola, in Europa perché mancano le categorie mentali per poterlo interpretare ed accettare. Ma attenzione Puigdemont e la sua base sociale sono determinati ad andare avanti. A ogni costo.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    L’esercito israeliano ha lanciato questa notte l’invasione di terra su Gaza City. Da ieri i carri armati sono entrati nel cuore della principale città della striscia, e i bombardamenti hanno colpito senza sosta strade, case, infrastrutture. Da questa mattina, i morti sono 89. Centinaia di migliaia di persone vivono ancora nella città. Migliaia di persone stanno invece cercando di fuggire, in un esodo verso un sud che non ha più spazio per ospitarli. Il servizio di Valeria Schroter.

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    1) “Gaza brucia di fronte al suo mare, testimone della sua tragedia”. L’esercito israeliano ha lanciato l’offensiva di terra sulla principale città della striscia. L’esodo in mezzo alle bombe. Quasi 90 i morti da questa mattina. (Valeria Schroter) 2) Israele come Sparta. Mentre l’ONU stabilisce che quello in corso a Gaza è genocidio, Netanyahu ammette l’isolamento internazionale e dipinge un futuro di autarchia e guerra permanente. (Anna Foa, Eric Salerno) 3) Gli Stati Uniti continuano a colpire il Venezuela. Trump punta a rovesciare il regime di Maduro con la scusa della lotta al narcotraffico. (Alfredo Somoza) 4) Cinquant’anni fa l’indipendenza della Papua Nuova Guinea. Il paese oggi è vittima della maledizione della ricchezza e rischia di finire ostaggio di un nuovo braccio di ferro tra occidente e Cina. (Chawki Senouci) 5) Spagna, l’estrema destra torna a riunirsi a Madrid. Il primo passo verso una grande alleanza di tutte le destre europee. (Giulio Maria Piantadosi) 6) Rubrica Sportiva. Julia Paternain, la maratoneta uruguayana entra nella storia vincendo la prima medaglia ai mondiali di atletica per il paese sudamericano. (Luca Parena)

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    “E’ stato bello rendersi conto che la figura di Woodie Guthrie è ancora molto viva anche fuori dagli Stati Uniti”, racconta Sarah Lee, nipote dell’icona folk americana. “Le problematiche di cui cantava lui ottant’anni fa sono ancora attuali”, riferendosi al tema dell’immigrazione e alla difficile situazione al confine con il Messico. Con la sua musica Woody Guthrie "affrontava un concetto molto basilare di umanità e speranza, ovvero il trattare le persone come persone, aiutandosi a vicenda nei momenti di difficoltà": lo stesso messaggio che ora le Guthrie Family Singers vogliono portare avanti. Ascolta l’intervista di Elisa Graci alle Guthrie Family Singers.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Iniziamo parlando del festival Coachella 2026 di cui è appena stata annunciata la lineup e ricordando Victor Jara, cantautore cileno simbolo della canzone sociale e di protesta che scomparse oggi 52 anni fa durante la dittatura Pinochet. Proseguiamo con il mini live in studio delle Guthrie Family Singers, trio di discendenti di terza e quarta generazione dell'icona folk americana Woody Guthrie. Nell'ultima parte accenniamo al concerto di raccolta fondi per la Palestina del 18 settembre, organizzato a Firenze da Piero Pelù, e ricordiamo la stella del cinema Robert Redford appena scomparsa.

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