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La prima volta di Bergoglio in un Paese in guerra

La visita del Papa in Africa catalizzerà l’attenzione mediatica di questa settimana oscurando anche le vicende del terrorismo e gli allarmi attentati. Fa soprattutto notizia in Italia, per tutte le speculazioni che sono state fatte sulla sua sicurezza.

In realtà Bergoglio rischia veramente poco e, a differenza di ciò che si dice, la visita in Centrafrica è praticamente la più sicura tra le tre località che il Papa toccherà. Non sono previsti bagni di folla e fare la sicurezza in questo paese, se si ha un dispositivo adatto, è abbastanza facile.

La guerra in Centrafrica è una guerra povera nella quale il massimo della tecnologia sono i kalashnikov, qualche lancia razzo e al massimo le cosiddette tecniche, jeep con montata sul cassone una mitragliatrice.

Basta bonificare e controllare il luogo nel quale il Papa si fermerà e schierare una adeguata forza dissuasiva e il gioco è fatto.

Paradossalmente più problematiche sono l’Uganda e soprattutto il Kenya. In quest’ultimo paese operano le milizie al Shabaab che sono distribuite, o meglio sono in grado di fare azioni, su un vasto territorio e possiedono buone capacità logistiche e di combattimento oltre che armamenti più sofisticati e offensivi. Nulla a che vedere con la Repubblica del Centrafrica, dunque, dove tutto è localizzato e prevedibile.

In ogni caso una dose di rischio c’è, ma sono più a rischio, a mio parere, obiettivi religiosi imprevedibili da colpire mentre il Papa è in Africa: semplici chiese in Europa, luoghi di pellegrinaggio, luoghi di arte cristiana.

Se ci si pensa la risposta del jihadismo alla dichiarazione di guerra della Francia dopo gli attacchi di Parigi è stata proprio di questo tipo con l’imprevedibile attacco in Mali.

Le menti del jihadismo (se mai ci sia una strategia globale) ragionano così o, almeno, vi sono indotte dai dispositivi di sicurezza che, di volta in volta, sono messi in campo.

  • Autore articolo
    Raffaele Masto
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