
Al centro della crisi in Medio Oriente c’è un paese, l’Iran, del quale si sa molto poco e dal quale anche in questi giorni di grande confusione è difficilissimo avere notizie. Tutti si chiedono se il regime rimarrà al suo posto, se ci sarà una riorganizzazione del potere o addirittura un colpo di stato, e se alla fine i raid israeliani e magari nel caso anche quelli americani porteranno a una rivolta di popolo? Ci si chiede anche cosa pensino e vogliano in queste ore i cittadini iraniani, che siano pro o contro il governo.
Impossibile rispondere a molte di queste domande. Ma ricordare, nel limite del possibile, come abbia funzionato finora la Repubblica Islamica, così come leggere e interpretare i messaggi che siamo riusciti a raccogliere in questi giorni all’interno del paese può aiutarci ad avere qualche elemento di comprensione in più. Sempre in un quadro che in buona parte rimane indecifrabile.
Nella particolare struttura statale che il paese si è dato dalla Rivoluzione Islamica del 1979 quelli che contano sono i vertici religiosi e l’élite militare, i famosi Guardiani della Rivoluzione. In un sistema rigido, chiuso, stretto, limitato, non si è mai potuta creare una vera opposizione per come la possiamo immaginare noi in Europa. Il sistema sta vivendo il momento più critico della sua storia, non è detto che sopravviva a questa guerra, ma al momento, prima che eventualmente ci sia un tracollo, un passaggio di poteri, se vogliamo un colpo di stato, non potrebbe che passare dall’azione di una componente che fa parte del sistema. Non ci sono elementi esterni a questo. E in ogni caso anche se ci fossero dei movimenti in questo senso lo verremmo a sapere solo a fatto compiuto. Anche perché nessuno parlerebbe.
Detto questo all’interno della società il potere iraniano incontra un’importante opposizione interna già dalla sua nascita, anche perché i religiosi rappresentano solo una faccia, una parte, della Rivoluzione del 1979. Opposizione che nel corso del tempo è poi cresciuta, soprattutto negli ultimi anni, fino al culmine tra il 2022 e il 2023 – le proteste per il velo dopo la morte di Mahsa Amini, che poi si sono trasformate in molto altro.
Impossibile fare dei numeri, ma è probabile che in alcune grandi città anche la metà della popolazione desideri da tempo che le cose cambino. Non è un caso che molte donne siano andate in giro a capo scoperto. E questo ci ricorda anche un’altra spaccatura tra una parte più conservatrice e una più laica. Spesso i giovani iraniani sono esattamente come i giovani in Europa. Ecco perché oggi nonostante la paura per la loro sopravvivenza ci siano anche iraniani contenti per la situazione nella quale si trovino i loro governanti.
Dall’altra parte c’è però anche chi si sente in trincea e dalle prime ore dell’attacco israeliano è convinto che prima o poi su Israele si scaricherà tutta la rabbia degli iraniani. Perché in fondo – dicono – l’Iran no ha alcuna responsabilità in questa crisi. Ma a parte le divisioni, le spaccature, le differenze all’interno della società, in questi momenti, con molte persone che cercano di scappare dalle città per evitare gli attacchi israeliani, il sentimento prevalente è quello di vuoto, di disorientamento: non sappiamo cosa fare, dove andare, nessuno ci dà indicazioni. Parole che dicono tutto.