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La guerra dimenticata del Sudan. Scoperta una fossa comune a nord della capitale

La guerra dimenticata del Sudan ANSA

A 70 chilometri a nord di Khartoum c’è un villaggio, Garri, e una base militare, che prende il suo nome. Quando ad aprile 2023 è scoppiata la guerra civile in Sudan, che ormai quasi due anni è una delle crisi politiche e umanitarie più gravi del pianeta, si credeva che i paramilitari delle RSF, che da subito erano penetrati nella zona della capitale Khartoum, avessero trasformato la base militare di Garri in un campo di allenamento.

Tutto questo prima di stamattina, quando il Guardian ha riportato una serie di testimonianze, fotografie e immagini satellitari che dimostrano la presenza di fosse comuni, e di un campo di detenzione e tortura a Garri che si aggiunge alla lunga lista delle atrocità commesse dalle Rapid Support Forces. All’inizio di quest’anno, negli ultimi giorni dell’amministrazione Biden, gli Stati Uniti avevano accusato il gruppo paramilitare di aver commesso un genocidio e la Corte Penale Internazionale sta già indagando da 20 anni sui crimini commessi nel Darfur da RSF e Janjaweed. Perfino chi, però, in questi ultimi 2 anni si è tragicamente abituato a sentir parlare di crudeltà, dice che la scoperta dei crimini commessi a Garri rappresenta un fatto “senza precedenti” nella guerra civile in Sudan.

I militari delle truppe governative che hanno liberato la zona negli ultimi giorni raccontano di civili incapaci di camminare per uscire dalle celle e le 550 tombe senza nome trovate a Garri contengono potenzialmente migliaia di corpi, inclusi molti bambini, morte per effetto delle torture e in condizioni di malnutrizione clinica.

Qualche settimana fa, le truppe governative sono rientrate a Khartoum nell’ambito di un contrattacco che dura da qualche mese. Mentre l’avanzata continua e sempre più zone controllate dalle RSF vengono liberate, scoperte simili a quelle di Garri si faranno sempre più frequenti. Ieri un report dell’UNHCR, ha rivelato la presenza di un’intera rete di centri di detenzione e torture intorno alla capitale Khartoum, nelle quali sarebbero imprigionate più di 10.000 persone. Una rete i cui dettagli saranno noti solo nelle prossime settimane, quando gli osservatori umanitari riusciranno ad accedere alle zone intorno alla capitale.

Nel frattempo, la guerra in Sudan sta vivendo una fase decisiva. Meno di un mese fa il capo delle forze armate Al-Burhan ha dichiarato di voler formare un nuovo governo tecnocratico una volta che avrà completato la riconquista di Khartoum, e nel frattempo le RSF hanno firmato una carta politica con l’intenzione di formare un nuovo stato indipendente nel Darfur. La guerra, che secondo l’ONU è la tragedia umanitaria più grande al mondo, continua, lontana dagli occhi occidentali, e nella difficoltà di impedire al cinismo di guerra di trasformare in numeri i costi umani.

di Luca Santoro

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    Società Civile per il No. È nato il comitato, promosso da vari esponenti della società civile, da sindacati, associazioni e realtà democratiche, che sostiene le ragioni del No al referendum costituzionale sulla riforma della Giustizia del Guardasigilli Carlo Nordio. Presieduto da Giovanni Bachelet, il comitato ha nel direttivo nomi importanti come il segretario della Cgil Maurizio Landini, la presidente di Libertà e Giustizia Daniela Padoan e l’ex ministra Rosy Bindi. I principali punti del comitato vertono sul fatto che una magistratura autonoma, indipendente, che non guarda in faccia a nessuno sia una cosa che conviene ai cittadini. Il prossimo 10 gennaio a Roma si terrà la prima assemblea generale, per la partenza della campagna referendaria, che vedrà la nascita di comitati territoriali in tutta Italia per lanciare una campagna informativa sulle ragioni del No. “Riteniamo che sia una battaglia per evitare che venga minato un principio fondamentale della nostra democrazia”, ha detto Rosy Bindi, che fa parte del direttivo del comitato, nella nostra trasmissione Radio Sveglia. L'intervista di Alessandro Braga.

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