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La guerra di Donald Trump alla libertà di stampa

Corte Suprema Donald Trump alla Casa Bianca

Ci sono una serie di fatti che mostrano che la libertà di stampa è ormai apertamente minacciata nell’America di Donald Trump. Non che Trump sia mai stato particolarmente benevolo nei confronti della stampa, più e più volte accusata di diffondere fake news e di essere an enemy of people, un nemico del popolo. Ma all’inizio di questo secondo mandato sta succedendo qualcosa di nuovo, e molto più pericoloso rispetto al passato. Vediamo alcuni fatti. Mercoledì, la Casa Bianca ha annunciato che d’ora in poi deciderà autonomamente quali media accogliere nell’Oval Office e in altri luoghi dove il presidente fa conferenza stampa o viaggia, per esempio l’Air One, l’aereo presidenziale. Si tratta appunto di luoghi con spazi ridotti, dove è possibile ospitare un numero ridotto di giornalisti. Da decenni, a decidere chi partecipa a queste conferenze stampa e incontri, ci pensa la White House Correspondent’s Association, l’associazione dei giornalisti della Casa Bianca, un’associazione che ha 111 anni e che è sempre stata autonoma, indipendente, stabilendo da sola le proprie linee guida, di condotta, e decidendo quindi in totale autonomia quali giornali e media potessero aver accesso all’OVAL Office, di solito soprattutto agenzie e grandi giornali o tv, di differente orientamento, di modo che l’informazione poi ricadesse su tutti gli altri media, nel mondo, in modo giusto, equilibrato.

Martedì scorso la Casa Bianca ha annunciato un cambiamento importante. Sarà appunto l’ufficio del presidente a decidere chi può partecipare, e chi no, alle conferenze stampa. Ieri, mercoledì, c’è già stata una prima prova di ciò. Associated Press, Reuters, Huffington Post sono stati tenuti fuori dalla prima riunione del nuovo gabinetto. La Casa Bianca giustifica la decisione con la volontà di accogliere i new media, quelli in rete, i social, negli spazi dove si muove il presidente. Ma la Casa Bianca ha detto anche che cose non vere sono state dette sul presidente e che le cosiddette fake news non verranno più ammesse. La decisione è così clamorosa – decidere i giornalisti da ammettere per far domande – che anche Fox News ha pesantemente protestato. A tutto questo, si aggiungono molte altre cose. Cause continue contro i media da parte di Trump e dei suoi principali collaboratori. Minacce di non rinnovare le licenze per i media sgraditi. La Federal Communications Commission che fa partire inchieste su PBS e NPR, finanziate con i soldi pubblici. Il nuovo direttore dell’FBI Kash Patel, che nel passato ha detto di voler sbattere in galera quei giornalisti che hanno attaccato i media. La situazione, insomma, è complicata, e pericolosa. Non è la prima volta che succede, nella storia americana, basti pensare al maccartismo e agli anni di Richard Nixon, ma questa volta la stampa sembra essere più debole, meno disponibile a combattere una battaglia per la libertà di espressione. Del resto, giornali, radio Tv fanno parte di conglomerati più ampi, con interessi diversi, e i proprietari di questi conglomerati non hanno appunto gran interesse a mettersi contro l’amministrazione. Ecco quindi Jeff Bezos che, ieri, ha deciso che la pagina delle opinioni del Washington Post dovrà ospitare solo ed escluvamente pezzi che che siano a favore di libertà personali e libero mercato. Bezos, del resto, il proprietario di Amazon, ha bisogno per i suoi affari di un governo compiacente. Ma ecco anche CBS, che si è piegata alla richiesta della Federal Communications Commission di visionare il materiale di un’intervista a Kamala Harris. La Federal Communications Commission deve dare l’ok a una fusione tra Paramount, società che fa parte dello stesso gruppo di CBS, e Skydance. Ci sono insomma tanti modi per influenzare i media: dalle minacce all’esclusione alle pressioni economiche. L’amministrazione Trump li sta usando tutti.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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