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La freccia spezzata

In fine mattinata del 26 dobbiamo andare da Milano a Bologna, cosa vuoi che sia, più o meno con l’alta velocità come un viaggio in metropolitana, un’ora e poco più. Sì ma la radio dice che causa neve la stazione Termini a Roma è bloccata. Facendomi forte della mia cultura scientifica tranquillizzo la persona con cui parto: vabbè ma non può provocare sconquasso fino a Milano, sarebbe come se un guasto nelle rete elettrica a Roma producesse un black out a Milano…. alla fin fine sono due reti elettrica e ferroviaria, certo diverse ma la dinamica delle reti è governata da leggi universali ben note…. dico un po’ gradasso e un po’ all’ingrosso. Comunque decidiamo di arrivare in stazione con largo anticipo che non si sa mai. E subito, al primo tabellone, il nostro treno compare con accanto “canc”, come!! non è possibile!? mettendoci in cerca di qualche addetto, il quale ci spiega mostrandoci l’intera situazione come compare sui monitor, con ritardi di 60, 200, addirittura fino a 310 minuti, che possiamo chiedere il rimborso del biglietto se decidiamo di non partire, e a scanso di equivoci più avanti c’è qualcun altro che dovrebbe saperne di più “perché qui le cose cambiano di minuto in minuto”, ovvero mi dico mentalmente c’è il caos, non so sulla rete ma certamente tra gli esseri umani addetti. Laddove potremmo chiedere il rimborso la fila è biblica, del tutto impraticabile, decidiamo di salire ai binari e – miracolo o disguido – il nostro treno ricompare almeno sul pannello con soli (sic) venti minuti di ritardo. Sembra fatta, ma nel giro di poco il ritardo cresce a 100, quindi 140, infine 200 minuti !!! Dopo un consulto tra noi, decidiamo di aspettare con pazienza in attesa di un treno che parta, non un regionale che quelli sono proprio scomparsi. Sì aspettare, ma dove? In stazione non c’è sala d’aspetto, vuoi mai che ci entri a riposare un barbone, un povero, un migrante, poi lo spazio serve per i negozi, il mercato ovunque è la parola d’ordine. Inoltre i bar sono pieni, affollati alcuni fino all’inverosimile. E sui marciapiedi fa un freddo cane. Per fortuna la persona che sta con me è titolare di una magica carta oro che consente l’accesso al Freccia Club, luogo di accoglienza caldo, dove puoi prendere il caffè, sgranocchiare biscotti, leggere i giornali seduto in comode poltroncine, fare una comoda pipì in bagni degni di questo nome, e ci sono pure tavoli dove puoi poggiare il computer. E un gruppo di manager, o almeno tali sembrano in rigorosi vestiti blu con cravatta regimental, tutti impettiti improvvisano una riunione. Ti aspetteresti che in una emergenza come questa il luogo fosse aperto – non dico a tutti, suvvia non bisogna esagerare con l’eguaglianza – ma almeno ad anziani, mamme coi bimbi, persone con evidenti disagi – invece no. Due accigliate signorine, molto comprese della loro funzione, fanno filtro e o hai la magica tessera o stai fuori al gelo. Poi dopo un’ora che stiamo lì arriva da parte di una delle suddette signorine l’avviso che tra venti minuti partirà dal binario ecc.. il treno freccia rossa numero tal dei tali per Taranto, e via tutti a precipitarsi. Solo che il treno lo hanno avvistato in molti, anche tra gli esclusi dalla sala riservata alle carte oro, e quindi c’è un poco (sic) di folla. Tutti attorno al capotreno che ha da sentirsi un poco assediato, e telefona in alto loco per sapere cosa deve fare: accogliere o no tutti questi clandestini in possesso di biglietti che nulla hanno a che fare col dovuto titolo di viaggio? Dopo alcune concitate esclamazioni, e telefonate che vanno e vengono, l’uomo si rivolge agli astanti dicendo che i suoi superiori gli hanno comunicato di non potere dare alcuna direttiva, insomma deve arrangiarsi, la decisione sta a lui. Il caos è arrivato ai vertici di trenitalia, che in confusione non sanno che pesci pigliare. Ma, miracolo, il capotreno dice: tutti a bordo che tra dieci minuti si parte, sedetevi dove trovate posto, se qualcuno che ha prenotato arriva, per favore alzatevi. E qui avviene un secondo miracolo: gli animi si distendono, saliamo mettendoci in fila ordinata, tutto tra un “mi scusi” un “grazie” un “per favore”, addirittura una signora al cui fianco ho trovato provvisorio posto fa cenno di alzarsi per cedere il suo sedile alla persona che sta con me: “ma voi siete insieme, si sieda” dice alla mia compagna, al che rifiutiamo. In piedi siamo tanti ma regna una sorta di serenità quasi conviviale. Insomma il gesto giusto e responsabile del capotreno ha svelenito l’atmosfera tra gli stessi utenti fino a poco prima assai bellicosi pure l’un contro l’altro armati (la classica guerra tra poveri, tra chi ha penuria, in questo caso penuria di posti in treno). Con episodi gustosi come la signora addetta a rifocillarci la quale, oltre a distribuire patatine a go go, individuato un vip, gran giocatore di rugby tutto tatuato, si è fatta fotografare abbracciata a lui mettendo anch’essa in mostra i suoi tatuaggi, tra gli applausi dei passeggeri. E così verso le 17 siamo arrivati a casa in Bologna, dopo essere usciti da casa in Milano alle 12, o poco più. Cinque ore, e ce la siamo cavata a buon mercato. Infine riprendo il discorso sui sistemi, le reti complesse, per definirlo un po’ meglio. E’ noto che una buona rete deve essere flessibile e resiliente, per esempio tale che se uno dei suoi nodi presenta un guasto, automaticamente viene escluso dal circuito, che continua a funzionare seppure in regime ridotto. L’esclusione del nodo infetto, la sua messa in quarantena finché non è risanato, impedisce la propagazione del guasto a altri segmenti (link) e nodi della rete. Tutte le reti sono progettate con questa salvaguardia, come le autostrade con la corsia di emergenza, che deve essere sempre lasciata libera nel corso ordinario. Io non so nulla di reti ferroviarie nello specifico ma se il blocco della stazione Termini, e il guasto di un treno nei dintorni di Orte, hanno provocato una instabilità che si è propagata ovunque fin quasi alla paralisi, il problema sta nel sistema, non nel singolo dirigente che ha perso la testa e si è dato alla fuga come quelli che parlavano al telefono col mio caro capotreno. Forse un sistema con un eccesso di carico, ovvero troppi treni e troppo frequenti sui binari, in nome del profitto immagino e/o della concorrenza, spesso due cattivi consiglieri. In questo caso pessimi.

  • Autore articolo
    Bruno Giorgini
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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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