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La bozza di programma del governo Conte bis

Ventisei i punti di programma, raccolti in tre pagine. Una sintesi estrema, rispetto alle quasi quaranta pagine del contratto del governo precedente.

Ventisei punti però in larga parte piuttosto generici, con una impressione iniziale e certamente voluta di dimostrare una comunanza di obiettivi, principi e valori, quasi a riprendere quelli della sinistra da un lato per il Partito democratico e quelli iniziali del Movimento di Grillo, persi per strada durante i quattordici mesi dell’alleanza con la Lega.

Sono stati pubblicati questa mattina contemporaneamente all’apertura delle votazioni, una spinta ulteriore forse per convincere gli iscritti a votare sì. E’ lo stesso Di Maio a scriverlo, assicurando che tutti i punti richiesti sono stati accolti. Il Pd, però, poco dopo ha precisato che si sta ancora lavorando al programma di governo.

C’è un po’ di tutto, a cominciare dalla necessità di non aumentare l’Iva, ma senza dire ora dove prendere i soldi; nel punto sulla manovra economica si parla del cuneo fiscale, la riduzione delle tasse sul lavoro, e la novità è che si promette che sarà a vantaggio dei lavoratori, e non solamente delle imprese.

Il punto sul quale si dilungano di più è quello sul Green New Deal, come cambiamento di cultura ambientale e di protezione dell’ambiente, con il ricorso a fonti rinnovali e di contrasto ai cambiamenti climatici. Sull’Europa si chiede di superare le eccessive rigidità dei vincoli di bilancio, ma senza citare soglie di deficit e percentuali per ora.

Dal punto di vista del lavoro si riconferma il salario minimo, ma senza chiarire quale delle due proposte accogliere, quella del Pd o dei Cinque stelle, così come non si citano le due leggi sul lavoro spesso messe una contro l’altra, il Job act e il decreto Dignità.

C’è la legge sulla rappresentanza sindacale, e un’altra novità, una norma sulla parità di genere nelle retribuzioni, recependo tutte le direttive su questo tema.

I punti controversi vengono citati, senza ulteriori dettagli per ora: quello sull’immigrazione, visto nell’unica ottica del governo precedente, ovvero come problema di sicurezza, rimanda ai rilievi del Quirinale per le modifiche dovute, con norme, si legge, che da un lato combattano l’immigrazione clandestina e dall’altra affrontino i temi dell’integrazione.

Le infrastrutture vanno fatte, tenendo d’occhio l’impatto ambientale e sociale delle opere, e per ora non viene nemmeno citata la Tav Torino-Lione. Mezza riga anche per ribadire che sono da rivedere le concessioni autostradali.

La legge sulla riduzione dei parlamentari va fatta nel primo calendario possibile, e la richiesta del Pd di inserirla dentro ad un disegno più ampio di riforme viene tradotta con “l’avvio contestuale di garanzie costituzionali, di rappresentanza democratica e di pluralismo territoriale e politico”, non c’è la promessa chiara di una nuova legge elettorale e con quale sistema, ancora generico come obiettivo.

Ci sono le tutele ai riders, una battaglia dei cinque stelle e della sinistra da sempre, come altri obiettivi, dall’acqua pubblica alla cittadinanza digitale e la comune volontà di trattenere in Italia i tanti giovani e ricercatori che ogni anno lasciano il Paese.
Infine, ultimo punto, Roma, che nel tempo è diventata una spina nel fianco del Movimento cinque stelle con i risultati così evidenti e negativi della giunta Raggi: c’è scritto che bisogna renderla più attraente, e su questo desiderio forse c’è l’unica unità di vedute tra i due futuri, forse, alleati di governo.

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