Dalla maggioranza dicono che l’emendamento sarà riformulato e si dicono stupiti della rilevanza del caso. Le riserve auree sono già pubbliche, in custodia della Banca d’Italia, e sono una sorta di fondo di garanzia non certo utilizzabile, ad esempio, per finanziare una manovra. Sembrerebbe un’operazione di puro carattere ideologico, ma non solo. E la BCE lo ha fatto notare. C’è un tema di indipendenza delle istituzioni pubbliche, non dipendenti direttamente dal governo. Non è il primo caso dell’allergia del governo Meloni o dei tentativi di condizionare le autorità indipendenti di controllo.
Uno dei temi di discussione, ad esempio, nella riforma della giustizia che separa gli organi di autogoverno dei magistrati. Riguarda ad esempio anche un’istituzione come l’università, dove il governo ha proposto di inserire nel CDA proprio un rappresentante governativo, palese tentativo di controllo della principale istituzione di istruzione. È successo, ad esempio, per la riforma degli enti lirici, sempre in ambito culturale. Di recente c’è stato il caso delle pressioni sul Garante della Privacy per il caso Report. È rispuntata l’ipotesi che l’anno prossimo l’ispettorato nazionale del lavoro, l’ente indipendente di controllo delle imprese, sia assorbito dal Ministero del Lavoro, quindi andando sotto diretto controllo di un decisore politico.
Sempre in campo economico è successo alla Corte dei Conti, al tentativo di riforma del governo che ne avrebbe svuotato i poteri. Attacchi riproposti dopo la sentenza sul Ponte sullo Stretto o dalle critiche all’ufficio parlamentare di bilancio. Il tema è sempre il solito: abbiamo preso i voti, possiamo fare ciò che vogliamo e gli altri si devono adeguare. La questione formale dell’oro di Banca Italia si inserisce in questa malcelata voglia di autoritarismo, allergie ai controlli indipendenti che garantiscono quei contrappesi che tutelano gli equilibri istituzionali di uno Stato.


