Approfondimenti

La verità “non contaminata”

Astuto manipolatore o garante della libertà di espressione?

Commenti e giudizi divergono radicalmente quando si parla di Julian Assange.

Recentemente, il fondatore di Wikileaks è tornato al centro delle polemiche per le mail del Democratic National Committee rese pubbliche dalla sua organizzazione (quelle che mostrano il tentativo del partito democratico di nuocere alla campagna di Bernie Sanders contro Hillary Clinton e che hanno condotto alle dimissioni della chair del partito Debbie Wasserman Schultz).

I servizi di intelligence americani si sono detti certi che il server del partito democratico sia stato infiltrato da hackers al servizio del governo russo. Wikileaks e Assange si sarebbero quindi fatti strumenti di Vladimir Putin; avrebbero in qualche modo contribuito a “riciclare” dati rubati da un governo “non-amico” per nuocere alla probabile futura presidente degli Stati Uniti: Hillary Clinton.

In realtà, si è andati anche più in là. In un recente articolo, il New York Times ha mostrato che le rivelazioni di Assange coincidono spesso con gli interessi di Mosca. E’ stato così in occasione delle mail del partito democratico; è stato così nel caso delle rivelazioni su Turchia e Arabia Saudita (nel momento in cui questi due Paesi erano in pessimi rapporti con la Russia); è stato così quando Assange ha rivelato documenti compromettenti sui ribelli siriani (oggetto della guerra condotta dal presidente Bashar al-Assad, sostenuto dai russi).

Non sarebbe comunque soltanto una questione di tempistica. Assange avrebbe preso di recente posizioni che coincidono con quelle del governo russo: contro l’influenza occidentale in Ucraina; contro la Nato; a favore di Brexit.

Se a questo si aggiunge poi il fatto che Putin ha più volte sventolato il caso di Assange come una prova dell’ipocrisia statunitense e occidentale in tema di libertà – e che nel 2011 il governo russo ha emesso un visto di entrata per Assange – la conclusione è presto tratta: il fondatore di Wikileaks sarebbe un agente del governo russo, o almeno un suo stretto collaboratore.

Assange ha risposto alle accuse. Notando anzitutto come la stampa americana – quella più blasonata e liberal – stia dando una sorta di assegno in bianco a Hillary Clinton. Passato e programmi della candidata non vengono in alcun modo scrutinati; l’appoggio a Clinton appare totale e acritico; i democratici sarebbero diventati il partito della “sicurezza nazionale” e starebbero diffondendo una sorta di “isteria maccartista anti-russa” che alla fine si ripercuoterà sulla libertà di espressione di tutti.

Assange ha risposto anche all’accusa di tenere un atteggiamento pregiudizialmente favorevole alla Russia. “La Russia ha il prodotto interno lordo dell’Italia. I veri protagonisti della scena internazionale sono Stati Uniti e Cina” e quindi a loro un’associazione come Wikileaks dedica gran parte del suo lavoro.

Oltre le accuse contingenti, vanno comunque notate alcune cose.

Anzitutto, tra il corposo, eccezionale lavoro di documentazione fatto da Wikileaks in questi anni, ci sono dossier che non hanno sicuramente ftto piacere al governo russo. I cosiddetti “Syria Files” pubblicati nel 2012 contenevano più di due milioni di email scambiate da e con il governo del presidente Assad, e costituiscono uno straordinario atto d’accusa contro il regime alleato di Mosca.

Soltanto la settimana scorsa, proprio Assange ha poi dichiarato che la Russia sta vivendo un periodo di “strisciante autoritarismo”, contraddicendo dunque l’accusa di un suo appoggio al potere putiniano (va anche ricordato che il leader di Wikileaks parla dall’ambasciata dell’Ecuador di Londra, dove si trova barricato da quattro anni per un mandato di arresto svedese che lo accusa di stupro; lui ha sempre negato, affermando che dietro le accuse ci sono gli Stati Uniti, che vorrebbero incarcerarlo per le rivelazioni di questi anni).

C’è poi un altro aspetto. E’ sicuramente vero che la strategia di Wikileaks è diversa da quella di Edward Snowden (tra l’altro i due, negli ultimi mesi, hanno polemizzato proprio sul caso delle mail democratiche: Snowden ha attaccato Assange per aver reso pubblici i documenti senza alcuna attenzione “all’interesse pubblico”). Snowden lavora in stretto contatto con un giornalista, Glenn Greenwald. Le loro rivelazioni sono sempre state accuratamente preparate, organizzate in collaborazione con grandi media internazionali, in particolare il Guardian.

Assange e Wikileaks prediligono un approccio diverso: nessuna “contaminazione” dei documenti resi pubblici; nessun intervento di selezione di fonti e prove. Assange considera Wikileaks come un enorme “archivio” in cui il pubblico può liberamente accedere e cercare quello che meglio crede. Del resto questo approccio che potrebbe sembrare, almeno in alcune occasioni, “pericoloso”, nasce da una considerazione: “i superpoteri della sorveglianza globale non hanno alcuna regola o restrizione”. Non devono quindi averne coloro che si battono contro quella sorveglianza.

Va infine ricordata una cosa. Assange, come detto, è chiuso da quattro anni in un edificio di Londra, senza poter uscire. Snowden è, anche lui, in esilio a Mosca, e rischia l’ergastolo se catturato dalle autorità americane. E’ andata peggio, molto peggio, a Chelsea Manning, l’ex soldato Bradley diventata donna, condannata a 35 anni di carcere per aver passato documenti militari proprio a Wikileaks. Depressa, in isolamento, Manning ha tentato il suicidio lo scorso luglio.

Il fatto è che il governo americano, in questi anni, ha usato la mano pesantissima contro i whistleblower, quelli che, nell’interesse pubblico, rivelano documenti riservati. L’amministrazione Obama ha usato l’Espionage Act per perseguire i whistleblower più di tutte le amministrazioni precedenti messe insieme.

Le accuse ad Assange potrebbero dunque rientrare in questa strategia. Nell’impossibilità, almeno momentanea, di arrestarlo, lo si denigra.

E del resto proprio quest’accusa – quella di fare il gioco del nemico – è stata spesso usata, dal Red Scare del 1919-20 al maccartismo al post-11 settembre, per attaccare tutti quelli che hanno criticato e combattuto abusi e violazioni delle libertà.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Sabato 20 e domenica 21 settembre al Paolo Pini di Milano si terrà la prima edizione del Godai Fest, il festival multidisciplinare che unisce la musica alle arti performative e visive nato da un’idea del musicista Rodrigo D’Erasmo, del produttore Daniele Tortora e dell’artista visivo Cristiano Carotti per abbattere i recinti di genere e di partecipazione, connettere le arti, sperimentare nuovi linguaggi, ampliare le visioni. L’arte, in tutte le sue declinazioni, sarà protagonista di un viaggio attraverso i 4 elementi della cultura umana (Fuoco, Terra, Acqua, Aria) ai quali si aggiunge, secondo la filosofia orientale, il principio del Vuoto. Ad ogni elemento corrisponde un curatore: Rodrigo D'Erasmo in questa intervista di Elisa Graci e Dario Grande a Volume ci ha presentato il concetto e il programma di questo festival.

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    In Etiopia inaugurata la diga della discordia

    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

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