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Itinerari di guerra: l’insegnante Mohamed Ali

foto di fabio viola - Pireo

Prosegue il viaggio di Moby (10.40/12) attraverso gli itinerari migranti. Abbiamo deciso di raccontarvi storie di viaggio un po’ particolari, viaggiatori che arrivano da Siria, Iraq e Afghanistan in cerca di un po’ di pace e di una vita migliore. Alessandra Lanza, in compagnia di Open Borders, ha incontrato alcune di queste persone e ne ha raccolto le testimonianze. Il secondo racconto che vi proponiamo, e che trovate anche su Witness Journal, riguarda Mohamed Ali, insegnante Afghano, accampato al Pireo.

L’intervista e sotto la traduzione di Alessandra Lanza.

Mohamed Ali dal campo allestito al Pireo

Mi chiamo Mohamed Ali, ero un insegnante in Afghanistan e certe volte insegnavo inglese anche ai ragazzi. Nella mia provincia avevo anche un negozio di macchine fotografiche. Ora sono qui e non so cosa devo fare. Con i volontari non parlo più tanto. Ho avuto dei problemi. Molte persone delle ong mi hanno chiesto di fare il traduttore, sono pochi i rifugiati che parlano inglese, ma non lo posso fare. Ho provato ma sono subito stato accusato dai profughi di aiutare una etnia al posto che un’altra. Mi dicevano lo fai solo per la tua etnia, per le tue persone. E’ stato molto brutto e così non lo ho fatto più. Non mi piace questo. Siamo tutti rifugiati, siamo umani ma non tutti lo capiscono. E così il mio più grosso problema adesso è cosa fare. So che in Grecia non possiamo stare, non c’è lavoro, non ci sono soldi… E quindi vorrei andare in Svizzera li ti danno un lavoro, una casa.

Mia moglie è incinta e ho bisogno di avere un posto dove non sia in pericolo. Dall’Afghanistan siamo dovuti scappare. Io sono Hazara, che se sapete qualche cosa del mio paese, è una etnia perseguitata. Mia moglie è Tagiki di Kabul, quando suo padre è morto si è trasferita dallo zio che è un funzionario del governo afgano. La famiglia di mia moglie era contraria al matrimonio, non volevano che mi sposasse. Le regole Tagiki sono diverse dalle nostre e molto dure. Ma noi ci amavamo, così quando abbiamo deciso di sposarci mi hanno detto che se la volevo in moglie avrei dovuto diventare un loro servitore, avrei dovuto insegnare le loro regole, io non ho voluto, così per sposarmi lei è scappata ed è venuta a vivere nella mia città, a Ghazni. Noi siamo molto in pericolo in Afganistan, siamo dovuti fuggire, noi ci siamo sposati per amore: l’amore è vita.

Per arrivare in Grecia abbiamo camminato sulle montagne per 15 ore, una volta ho perso mia moglie e mio figlio per due ore sulle montagne in Iran sulla strada per la Turchia. C’era molta gente, poi li ho ritrovati. Tutte le persone piangevano nelle 14 ore di camminata sulle montagne ma siamo arrivati in Turchia a Dogubayazit. In Turchia ci hanno dato una casa, ci hanno messo su un pullman e ci hanno fatto arrivare a Istanbul. Per arrivare dall’Afghanistan alla Turchia ci abbiamo messo 2 mesi. Abbiamo speso 7.000 dollari. Abbiamo usato una organizzazione, hanno fatto tutto loro. Ci avevano proposto anche di organizzarci il viaggio direttamente dall’Afghanistan ma volevano 8000 dollari e non li avevo. E’ stato un parente a presentarmi uno di loro, me lo sono ritrovato in casa, ho provato a contrattare la cifra ma non ci sono riuscito. Così la prima parte del viaggio lo abbiamo fatto da soli. Siamo partiti a piedi. Poi abbiamo capito che era meglio se avevamo aiuto se ci affidavamo a qualcuno che ci organizzava il viaggio.

Ci hanno fatto anche il passaporto, eravamo in tante persone. Hanno organizzato anche la barca. Siamo arrivati in Grecia a Kios. Ora che siamo qui da parecchie settimane non abbiamo più soldi. Sono preoccupato per mio figlio che sta male, ha la diarrea e i medici che abbiamo incontrato ci hanno detto di bere acqua, tanta acqua. Ma non si cura solo con l’acqua, sono preoccupato anche per mia moglie, il cibo che ci distribuiscono due, tre quattro volte al giorno quando capita i volontari greci non è mangiabile. Oggi abbiamo buttato via anche il riso e poi qui non abbiamo neanche un posto dove poter stare e offrirvi qualcosa da bere e da mangiare. Teniamoci in contatto.

  • Autore articolo
    Disma D. Pestalozza
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    È da poco uscito il secondo EP di Wayloz, artista italo-nigeriano che oggi è passato a trovarci a Volume per suonare alcuni brani. “Mentre nel precedente ep ho voluto catturare l’essenza di ciò che ero io con la chitarra in mano, qui c’è molto più spazio per gli arrangiamenti e per altri strumenti musicali”, spiega Wayloz. Tra folk primitivo, altrock, blues e suoni dell’Africa tribale, il disco è un viaggio tra atmosfere desertiche e rurali, che esplora il rapporto con la natura ma non solo: il titolo “We All Suffer” è più che altro un invito a riconoscere una condizione che è di tutti e a “trovare solidarietà e fratellanza con le altre persone”. L'intervista di Elisa Graci e Dario Grande e il MiniLive di Wayloz

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    Errando per Antiche Vie è una grande azione performativa in cui artisti e pubblico percorrono a piedi la distanza che separa Cortina e Milano, tra il 5 e il 16 dicembre, a un mese dall’inizio delle Olimpiadi, per raccontare un territorio incredibile, contraddittorio che per la prima volta viene messo in luce dalle Olimpiadi. Un cammino lungo oltre 250 km, spettacoli teatrali e di danza, letture, pasti di comunità, incontri e dibattiti: un racconto della montagna fatto di sostenibilità, di protagonismo dei territori alpini e prealpini, di chi decide di vivere e lavorare in quota e nei territori periferici, al di là della spettacolarizzazione del momento olimpico. Michele Losi di Campsirago Residenze ha raccontato a Cult tutto il percorso. L'intervista di Ira Rubini.

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