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Israele e l’annessione di parte della Cisgiordania. Cosa succederà?

Benjamin Netanyahu

Alla vigilia dell’avvio delle procedure di annessione di una parte dei territori della Cisgiordania ad Israele, abbiamo provato a fare il punto della situazione con Michele Giorgio, corrispondente da Gerusalemme per Il Manifesto.

L’intervista di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni a Prisma.

Cosa si sa di concreto di questa procedura di annessione da parte di Israele?

Quello che possiamo dire è che il premier israeliano Netanyahu ha inserito all’interno del suo piano di annessione un 30% del territorio della Cisgiordania che corrisponde alle aree dove si trovano le colonie israeliane e anche la Valle del Giordano, un territorio che tutti i governi israeliano hanno sempre pensato di tenere sotto il controllo di Israele.
L’incertezza di queste ore non è legata alle intenzioni di Netanyahu, ma semplicemente al fatto che per motivi di opportunità diplomatica e politica c’è una discussione nel governo israeliano e tra gli Stati Uniti e Israele rispetto a quanto territorio annettere subito e quanto, invece, più tardi. Israele controlla già con gli Accordi di Oslo – accordi temporanei che in realtà sono rimasti in vita per più di 25 anni – il 60% della Cisgiordania. Questo vuol dire che nelle mire di questo governo israeliano c’è il controllo di altre porzioni del territorio della Cisgiordania, ma in questo momento la discussione è su che passo fare subito e quali passi fare dopo.
Nel governo israeliano c’è il partito Blu e Bianco, rappresentato dal Ministro della Difesa Binyamin Gantz, che è a favore dell’annessione ma che non vuole rovinare i rapporti che Israele ha con la Giordania, che è un Paese molto importante nelle strategie di sicurezza di Israele e che contesta fortemente questo piano di annessione ritenendolo una minaccia alla sua stabilità. Ci sono delle discussioni in atto con l’amministrazione americana che ha dato il via libera al piano di annessione elaborato da Netanyahu, però gli Stati Uniti in questo momento sono un po’ titubanti perché pensano che annettere subito un 30% del territorio della Cisgiordania comprometterebbe definitivamente la possibilità che i palestinesi possano un giorno accettare il piano americano che fino ad ora hanno respinto categoricamente.

I palestinesi come si stanno preparando alla giornata di domani?

Quello di domani è stato proclamato un giorno di rabbia, così come spesso vengono definite le manifestazioni palestinesi in giornate di tensione molto particolari. Si prevedono sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza delle manifestazioni contro questo piano israeliano. Dai politici palestinesi c’è una condanna generale di qualsiasi mossa unilaterale di Israele, soprattutto quando si parla di acquisizioni e annessioni unilaterali di territori palestinesi, però ci sono anche delle diverse posizioni all’interno dei palestinesi rispetto al futuro. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina guarda a una soluzione di due Stati con Israele – Israele e Palestina – mentre Hamas considera invece uno Stato Palestinese in Cisgiordania e Gaza come una soluzione temporanea verso una liberazione di tutta la Palestina storica. E potremmo continuare con le varie posizioni diverse che ci sono tra le varie forze palestinesi.
Sicuramente tutti i palestinesi sono contro il piano americano e sono contro gli Stati Uniti che si sono ancora più che in passato schierati dalla parte di Israele.

Tu prevedi anche una possibile escalation militare?

In una situazione del genere è difficile fare previsioni e non si può escludere nulla. In generale, però, la sensazione è che nel caso di Hamas, che ha lanciato una serie di avvertimenti minacciosi, pochi credo che da parte di Hamas ci sia davvero l’intenzione di andare in una guerra totale con Israele nel momento in cui da oltre un anno sta cercando di raggiungere un accordo indiretto, attraverso la mediazione egiziana, per una tregua a lungo termine che prevedeva anche lo scambio di prigionieri. Sulla base di queste considerazioni molti analisti tendono ad escludere che il movimento islamico Hamas possa dar seguito alle sue dichiarazioni bellicose, che sarebbero poi seguite da operazioni militari israeliane devastanti.

Cosa pensa l’opinione pubblica in Israele di questo piano di annessione?

Io direi che la maggioranza della popolazione israeliana è abbastanza indifferente davanti a questo piano. Chi invece contesta questo piano lo fa con delle sfumature molto diverse tra loro. Accanto a coloro che la contestano per ragioni legate al rispetto del diritto internazionale o perché sanno che metterebbe fine alla possibilità che possa nascere uno Stato palestinese sovrano, ci sono molti israeliani che la contestano perché pensano che rappresenti un pericolo per la stabilità economica del Paese o semplicemente perché non la ritengono importante.

Cosa succederà concretamente oggi?

Vorrei tanto darvi una risposta certa, ma in realtà non c’è nulla di certo. Secondo quello che si sa, Netanyahu dovrebbe fare una dichiarazione, poi il processo di annessione vero e proprio seguirà un iter legislativo e dovrà esserci un voto della Knesset.

(Potete ascoltare l’intervista da 1:18:40)

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