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“Io, una giudice popolare al Maxi Processo”, intervista al regista Francesco Micciché

giudice popolare maxi processo

Francesco Micciché, regista della docufiction “Io, una giudice popolare al Maxi Processo“, in onda su Rai1 giovedì prossimo e disponibile su RaiPlay, racconta a Radio Popolare il processo di ricerca che ha coinvolto la produzione del progetto sul maxiprocesso indetto dallo Stato contro cosa nostra.

L’intervista di Barbara Sorrentini a Fino Alle Otto.

Io, una giudice popolare al Maxi Processo. C’è una parte di finzione nel film, con Donatella Finocchiaro che interpreta una delle giurate popolari coinvolte nel processo, ma le rappresenta in realtà un po’ tutte.

Il personaggio di Caterina, interpretato da Donatella, è la summa di tutte le giurate popolari che noi abbiamo sentito ed ascoltato, e che hanno poi ispirato il racconto. Erano persone normali, casalinghe, impiegate, che a un certo punto vengono investite di questa grandissima responsabilità: far parte della giuria che giudicherà il Maxi Processo, un evento della nostra storia contemporanea molto importante. È l’evento in seguito al quale si potrà dire che la mafia esiste, perché fino a quel 1987, la mafia da un punto di vista giudiziario quasi non esisteva. C’erano delitti mafiosi, ma non c’era l’organizzazione mafiosa. Il Maxi Processo svelerà che invece c’è, e ci saranno numerosissime condanne. Questi giudici popolari si sono trovati improvvisamente a rappresentare la Sicilia e il Paese, con una responsabilità enorme ma essendo persone qualsiasi, gente che faceva semplicemente la propria vita, che è stata così sconvolta.

C’è una parte, invece, di documentario con interviste ai testimoni dell’epoca, e alcuni di loro vengono interpretati da attori. Poi ci sono le immagini vere del Maxi Processo. Come le hai ricercate?
Questa è la sesta docufiction che faccio, per Rai1 e per RaiFiction. È un modo di raccontare eventi storici del nostro paese che secondo me dà grande verità al racconto e allo stesso tempo mette lo spettatore di fronte a quello che è successo. Questo ritmo tra finzione e documentario dà sempre la conferma che quello che vedi nella finzione è vero. Per il Maxi Processo c’è un archivio che sta nella Sede RAI siciliana, dov’è contenuto tutto il girato del Maxi Processo, digitalizzato. Forse pochi ricordano, ma in quegli anni il Maxi Processo è stato interamente registrato dalle telecamere della RAI. Esiste una parte del materiale che sta dentro RAI Teche, e l’altra che è conservata a RAI Sicilia. Alcune parti le abbiamo dovute prendere lì perché specifiche. In genere si ricorda del Maxi Processo solo il confronto tra Buscetta e Calò, il nucleo centrale del processo. Però ci sono anche altre chicche, altre parti importanti. A un certo punto, verso la fine del processo, gli avvocati chiesero la lettura degli atti, che è una cosa che faceva parte del codice fascista negli anni 30 e che però nessuno in cinquant’anni di storia repubblicana aveva mai chiesto. La lettura degli atti in un processo del genere sarebbe durata anni, probabilmente. Quindi tutti quei mafiosi in carcere sarebbero probabilmente usciti perché sarebbero caduti i termini di carcerazione preventiva, ma invece lo Stato in quel caso intervenì con la famosa legge Mancino-Violante, che di fatto lo impedì. Il Maxi Processo è stato voluto e realizzato dallo Stato e quel processo è un grande successo della nostra Repubblica. È stato il momento in cui si è potuto dire che la mafia esistesse. Questo è stato fatto grazie alle indagini di Falcone e Borsellino. Poi dopo le cose sono cambiate, ci sono stati parecchi problemi, però quello è stato un momento in cui anche i siciliani onesti hanno sentito che era possibile la lotta alla mafia e che era possibile sconfiggere.

Come hai fatto a recuperare i giurati e le giurate che parlano nel tuo film?

Alcuni sono tornati alla propria vita. Altri, come per esempio il giudice Mario Lombardo, giornalista, ha scritto un libro sulla sua esperienza al Maxi Processo. Abbiamo avuto l’importante aiuto di Francesco La Licata, giornalista siciliano noto e che finalizza molto le sue ricerche sulla mafia. Francesco ci ha aiutato a trovare questi giurati che conosceva bene, perché all’epoca lui ha seguito tutto il processo. Pietro Calderoni e Ivan Russo, i due sceneggiatori, li hanno contattati e hanno fatto lunghe interviste. Li abbiamo un po’ scovati, e un po’ ce li ha consigliati Francesco.

Ai microfoni di Radio Popolare è stata intervistata anche Francesca Vitale, giurata popolare al Maxi Processo, che ha condiviso i suoi ricordi dell’esperienza.

È stata indubbiamente una prova importante riuscire a completare il lavoro che aveva iniziato Falcone. Per fortuna è andata bene e siamo riusciti a concludere, anche se non era facile. Siamo stati ostacolati continuamente, ma abbiamo superato con serenità.

Si vede bene nel film cosa voleva dire stare nell’aula bunker durante quei momenti. Che cosa ricorda?

Le emozioni che abbiano vissuto sono state tante, perché naturalmente sono successi tanti fatti. Chi si è cucito le labbra, chi ha ingoiato un chiodo, una volta è capitato che Liggio non volesse uscire in aula perché voleva la poltrona del Presidente Giordano, e il maresciallo era riuscito a distoglierlo dicendo che la poltrona non si potesse muovere perché cementata. Erano tutti motivi per ostacolare, per cercare di interrompere questo processo ma per fortuna non ci sono riusciti.

Il rapporto con la paura, in quella fase, com’è stato per lei?

La scoperta di questo mondo sovrapposto è stata inaudita. È stata la scoperta di una inciviltà. Purtroppo non immaginavo che potesse esistere un’organizzazione così grande come quella che si è poi rivelata.

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