Anche quest’anno, come ogni 7 dicembre, Milano ha vissuto la prima della Scala. Dentro il teatro lo sfarzo e la tradizione, fuori, davanti a Palazzo Marino, un’altra scena: alcune centinaia di persone hanno assistito alla “prima popolare” organizzata dal centro sociale milanese Il Cantiere. Sul palco del cosiddetto “Teatro delle Complicità” sono andate in scena le contraddizioni della città, come il gemellaggio con Tel Aviv. Sulla piccola struttura montata di fronte all’ingresso del Comune, le sagome satiriche di Giorgia Meloni — rinominata Lady McMelony per l’occasione — dei ministri Giuli e Valditara, del sindaco Sala e dell’immobiliarista Catella.
In piazza c’erano associazioni palestinesi e realtà come Potere al Popolo e Sì Cobas. Anche i lavoratori della Fenice di Venezia hanno partecipato, esprimendo la loro contrarietà alla nomina calata dall’alto di Beatrice Venezi e chiedendo rispetto delle competenze artistiche. Cartelli e striscioni reclamavano investimenti nella cultura, tutela per chi lavora nei teatri, sostegno ai giovani e giustizia internazionale, con particolare attenzione a Gaza e alla liberazione di Mohamed Shahin, imam detenuto nel Cpr di Caltanissetta. La musica non è mancata: professori e professoresse d’orchestra della Scala, in piazza con la Slc CGIL, hanno eseguito il Va’ pensiero. E alle 18, mentre dentro il Piermarini andava in scena Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Šostakovič, la piazza si stava lentamente smobilitando, senza alcuna tensione con la polizia schierata per l’intero pomeriggio in assetto antisommossa. Una giornata che ha mostrato, in un unico sguardo, le contraddizioni di Milano: il lusso e lo sfarzo della Scala e, pochi passi più in là, la mobilitazione civile che ha messo al centro lavoro, cultura e solidarietà al popolo palestinese.


