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“Il racconto della roccia”, lo Yemen tra storia e fantasia

il racconto della roccia

BeneDì, nome d’arte della ventiseienne Benedetta D’Incau, ha esordito nel mondo del graphic novel con un libro che di semplice ha solo la griglia delle vignette e le linee pulite di certe bandes dessinées franco-belghe. Prendiamo la trama, tanto per cominciare. “Il racconto della roccia” è una storia di convivenza tra ebrei e musulmani che vivono in un villaggio dello Yemen di inizio ‘900 ma anche di fanatismo religioso. La routine delle due comunità viene improvvisamente sconvolta dall’apparizione di un Jinn al confine del villaggio. Un demone, o forse un fantasma o un’allucinazione, che vieta agli uomini adulti di uscire di casa e svolgere qualunque normale attività, anche prendere l’acqua al pozzo. Pena cadere in una sorta di coma febbricitante, in bilico tra la vita e la morte.
Raccontata con gli occhi dei due bambini protagonisti, un piccolo genio del Talmud che teme di aver evocato il demone, e il suo migliore amico musulmano, un pastorello con un talento per la calligrafia, mescola elementi fiabeschi, di avventura e in parte persino thriller.
Il romanzo si basa su ricerche storiche accurate. Lontano dall’intreccio tra politica e religione che rendeva le cose più complesse nelle grandi città, è nelle zone rurali che ebrei e musulmani yemeniti si sono ritagliati uno spazio di coesistenza quasi osmotica. Oltre 2000 anni di convivenza relativamente pacifica che hanno prodotto degli effetti culturali e artistici tra i più ricchi e affascinanti del pianeta. BeneDì ha voluto raccontare questo esempio virtuoso e inimitabile, anche mostrandone i limiti e cercando di immaginare come un mondo essenzialmente maschile e permeato di religiosità avrebbe potuto reagire a un evento inspiegabile e imprevisto. Lo fa descrivendo la vita delle due comunità con dei tratti morbidi ma ricchi, che rendono minuziosamente i panorami e gli oggetti e danno corpo all’atmosfera dell’epoca con una precisione da archeologia grafica. Dei dettagli tutti disegnati a mano, che la decisione di stampare il libro in formato A4 permette di apprezzare pienamente.
Complice la scelta della carta, non bianca ma avorio, e l’uso di un marrone quasi nero per la stampa, il lettore viene subito trasportato nel passato e immerso nel paesaggio yemenita. Il libro intreccia in realtà molte epoche diverse, che vanno dalla storia del villaggio e della roccia che custodisce il segreto del jinn fino all’Austria del 1938 e alla Notte dei Cristalli. Ma la disegnatrice divide i tempi del racconto essenzialmente tra il presente dei protagonisti e i loro ricordi o le storie tramandate nel villaggio, disegnati su sfondo nero. Mantenendo così un’omogeneità stilistica che agevola la lettura, anche nel dedalo di narrazioni che si incatenano come in certe fiabe orientali.
Il fatto di affrontare temi seri e situazioni complesse dalla prospettiva dei bambini, riflessa anche dai disegni arrotondati e dall’espressività dei personaggi, e di riuscire a mantenere un’atmosfera contemporaneamente storica e fiabesca, è un ottimo espediente narrativo per far riscoprire una realtà culturale ormai scomparsa. Ricordandoci anche che comprendere l’altro richiede sempre sforzo e costanza e invitandoci a ragionare sulla forma che quella convivenza così speciale potrebbe prendere oggi.

“Il racconto della roccia”. Di BeneDì. 224 pagine in bianco e nero. Coconino Press, 22 euro

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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