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Il Mozambico muore di sangue e gas

Mozambico isole Quirimbas

Una barriera corallina incontaminata lunga oltre 500 chilometri, pesci di ogni colore, cinque specie diverse di tartarughe, delfini, il mare di un azzurro trasparente che scopre e ricopre le spiagge deserte con le sue maree. La costa che va da Pemba a Palma, nel nord del Mozambico, è uno dei paesaggi più simili a quello che chiamiamo paradiso tropicale, compreso il suo arcipelago di 27 atolli, le Quirimbas, soprannominate le isole fortunate.

E si è pensato che fosse una fortuna, qualche anno fa, anche aver trovato sotto i fondali di questa costa un immenso giacimento di gas naturale, che una volta sfruttato farebbe del Mozambico il secondo produttore mondiale di Gnl, superato soltanto dal Qatar. Un affare, è stato calcolato, che vale almeno 150 miliardi di euro, niente male per il settimo Paese più povero del mondo.

La scoperta si è invece rivelata, almeno sul breve termine, una gigantesca iattura. Prima sono arrivate, naturalmente, le grandi coroporation americane ed europee degli idrocarburi, da Anadarko a Exxon fino alla nostra Eni.

Poi è scoppiata la violenza, in una terra che non conosceva guerre dai tempi del conflitto civile tra Frelimo e Renamo, quarant’anni fa. E misteriose bande di uomini armati e incappucciati, tre anni fa, hanno iniziato a fare stragi nei villaggi, decapitando donne e bambini.

La guerriglia ha la copertura ideologica islamista, legata com’è al gruppo di Ansar al-Sunna, che già dal nome ci indica però la sua principale caratteristica: Ansar al Sunna significa infatti “Sostenitori della Tradizione” e attrae nelle sue fila non solo musulmani radicali, ma soprattutto poverissimi disperati che non sopravvivono più con l’agricoltura, stravolta dai cambiamenti climatici e dalle cicliche invasioni dei “garfanotos”, grosse locuste che si mangiano in poche ore interi raccolti.

A peggiorare la situazione si sono messi una serie di cicloni che hanno devastato i villaggi costieri creando decine di migliaia di profughi.

Questa classe sociale disperata oggi vede un potenziale miglioramento della propria vita grazie alle risorse naturali appena scoperte, ma teme che tutti i proventi del gas finiscano al governo centrale di Maputo e alla burocrazia del Frelimo, partito al potere dal 1945.

Di qui gli attacchi armati, connessi non tanto a una guerra di religione – come spesso diciamo con una certa superficialità in occidente – quanto a una gigantesca questione sociale ed economica.

Al punto che secondo alcuni le stragi sono finalizzate proprio a creare un clima di paura diffusa, specie nel personale straniero delle corporation occidentali, un clima di paura finalizzato a sua volta a far assumere milizie private, cioè contractors, per tenere in sicurezza gli impianti e il personale.

E a fornire questa sicurezza a pagamento, paradossalmente, sarebbero gli stessi che adesso fanno le stragi e diffondono il terrore, che in questo modo godrebbero della loro fetta di relativo benessere che arriverebbe indirettamente dalla scoperta del gas naturale.

  • Autore articolo
    Alessandro Gilioli
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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale

    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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