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Il dibattito sull’incesto scuote la Francia. E la legislazione si adegua

Camille Kouchner Incesto Francia ANSA

Nelle ultime settimane un dibattito scuote la Francia: quello sull’incesto. Tutto è nato da un libro rivelazione con cui Camille Kouchner accusa il patrigno, il famoso costituzionalista Olivier Duhamel, di aver abusato per anni di suo fratello gemello. Sono seguite rivelazioni a catena, spinte dall’hashtag #metooinceste, che hanno coinvolto l’importante rettore di Science Po Paris, un simbolo delle lotte sociali in Martinica e molte altre personalità pubbliche o istituzionali.

Audrey Darsonville, professoressa di diritto penale all’università di Nanterre, riassume così quello che sta succedendo:

In Francia abbiamo avuto, come nel resto del mondo, un grande movimento di liberazione della parola con #metoo. Un movimento iniziato da delle donne maggiorenni, che hanno denunciato le violenze sessuali. Poi la questione si è rapidamente concentrata sui minori. Anche perché sono emersi un certo numero di scandali che implicavano dei minorenni. Penso a quelli che hanno coinvolto la chiesa, con dei casi molto mediatizzati di preti che hanno abusato di bambini. In seguito si è parlato dei casi nello sport, che hanno scatenato una reazione molto forte. E ora il movimento viene rilanciato concentrandosi sull’incesto perché è uscito il libro di Camille Kouchner. È proprio quella pubblicazione, un mese fa, che ha scatenato di colpo questo movimento sociale molto forte, che è stato seguito dal legislatore, di riconoscimento dell’incesto. Abbiamo assistito a una progressiva liberazione della parola a partire da #metoo: prima con le donne maggiorenni, poi con i minori e oggi con l’incesto.

Quindi possiamo immaginare che la società francese concepisca l’incesto come qualcosa più grave, di per sé, della pedofilia?

Non saprei se metterla davvero in termini di gravità. Perché quando ad esempio un allenatore abusa di un atleta minore abbiamo già delle circostanze aggravanti. E se è il padre ad abusare della figlia non avremo un’aggravante maggiore. Quindi non è una questione di gravità della pena Ma penso che la cosa più grave nell’incesto sia la difficoltà enorme delle vittime a potersi esprimere. Alla problematica della presa di parola del minore si aggiunge quella delle dinamiche familiari. C’è la questione della lealtà verso la famiglia, il rischio di implosione del nucleo familiare, eccetera. Quindi penso che l’incesto non sia più grave di altri crimini sessuali ma più difficile da far emergere. È questa la problematica.

Lei dice che la problematica è quella di far emergere la parola delle vittime. Ma ad oggi le proposte sull’incesto sembrano voler affrontare la questione dal punto di vista delle pene, creando una soglia legale per il consenso alle relazioni sessuali e riflettendo a un possibile aumento dei tempi di prescrizione. Non è rischioso da un punto di vista giuridico?

Devo dire che è un classico in Francia: appena c’è un problema sociale, assistiamo a una specie di iperreazione del legislatore che propone nuove leggi per far vedere che si interessa al problema. Oggi il nostro arsenale giuridico permette già di sanzionare l’incesto. Il problema è più di come aiutare i minori ad uscire da un contesto di violenze sessuali e di come sostenerli. Ci vorrebbero più strumenti di prevenzione che nuove leggi.
Se si cambia la legge in permanenza, diventa molto difficile capire a che norme fare riferimento: due anni fa la legge Schiappa ha riformato le violenze sessuali, anche su minore, ma non c’è stato nemmeno il tempo di integrarla. Riformarla ancora renderebbe le misure illeggibili. E poi c’è il rischio legato all’allungamento dei tempi della prescrizione, chiesto da molte associazioni. Anche in questo caso il dibattito è problematico, perché ragioniamo su dei fatti di cronaca mediatici, che non riflettono la realtà attuale. Sono cose successe trent’anni fa, oggi le vittime non avrebbero gli stessi problemi. Adesso i minori hanno fino ai loro 48 anni per denunciare. Sarebbe meglio capire cosa fare per aiutare le vittime a parlare prima, invece di capire come permettere di denunciare il più tardi possibile. Anche per una vittima, è problematico, perché più passa il tempo meno prove ci saranno. Alcune associazioni hanno fatto notare che l’esistenza stessa della prescrizione spinge le vittime a parlare, perché pensano che dopo sarà troppo tardi. Per altre, per cui è difficilissimo portare i genitori o gli zii in tribunale, la prescrizione offre la possibilità di parlare senza che ci sia una procedura penale. Quindi non penso che allungare la prescrizione sia una cosa positiva per le vittime.

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale

    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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