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Il bavaglio di Erdoğan

Mentre 12 dei 16 accademici arrestati per aver sottoscritto una appello per la pace sono stati rilasciati, rimane una dato di fatto: in Turchia esprimere la propria opinione o dare delle notizie può essere un reato.

Ne sanno qualcosa i 33 giornalisti attualmente detenuti in un paese che ha sempre occupato i primi posti nella triste classifica del maggior numero di giornalisti in carcere. Uno di questi è Can Dundar, il direttore del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, che rischia due ergastoli per aver pubblicato un’inchiesta sul traffico d’armi dalla Turchia alla Siria che avveniva sotto gli occhi dei servizi segreti turchi.

Proprio pochi giorni fa il giornalista si è rivolto con una lettera al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, per chiedergli di non dimenticare, in cambio di una soluzione per i rifugiati siriani, “i valori fondativi dell’Europa”: libertà, diritti umani, democrazia, ideali da lungo tempo calpestati dal Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Un grido d’allarme lanciato all’Europa dal carcere di Silviri dove è rinchiuso in regime di isolamento dal 26 novembre scorso con l’accusa di spionaggio e la divulgazione di segreti di Stato.

La maggior parte degli arresti di questo tipo avviene sulla base di un controverso articolo del codice di diritto penale turco, che ascrive a reato tutto quello che possa essere considerato un insulto o un attacco all’integrità dello Stato e delle istituzione turche. Se a questo si aggiungono le misure introdotte dal recente pacchetto sicurezza, alcune delle quali consentono l’arresto in presenza del solo legittimo sospetto, anche in assenza di prove, si comprende come essere arrestati in Turchia sia veramente facile.

Ne è consapevole Beyazıt Öztürk, noto conduttore televisivo, che nel corso di una trasmissione del seguitissimo show che porta il suo nome ha intervistato telefonicamente una donna di Diyarnbakir, la capitale elettiva del Kurdistan turco. L’ospite ha denunciato le uccisioni dei bambini a seguito delle operazioni militari. Dopo aver ricevuto minacce ed insulti, il conduttore in un secondo video-riparatore ha chiesto scusa e confermato la sua fedeltà alla bandiera turca.

Sperimentano questa mano dura anche i giornalisti stranieri: due giornalisti britannici e l’interprete iraqeno Muhammed İsmail Resul di Vice News sono stati arrestati il 27 agosto 2015 nel sud est della Turchia durante le riprese di una serie di scontri tra forze di sicurezza e separatisti curdi, con l’accusa di collaborare con lo Stato Islamico.

Non stupisce che anche che otto giornalisti di un quotidiano in lingua curda si trovino in carcere. Anch’essi per la maggior parte accusati di far parte di un’organizzazione terroristica. Eppure, al momento dell’arresto, stavano solo documentando il conflitto nel Sud-est del Paese.

È comunque un Paese a due tempi la Turchia. Il primo è quello degli arresti, delle sedi di TV e giornali presidiate dai militari, delle immagini inquietanti di uomini in divisa nelle case di professori e ricercatori, e delle loro porte contrassegnate con croci e cartelli che indicavano che in quell’ufficio non erano più graditi. Anche se rilasciati, molti di questi accademici sono già stati licenziati. E dopo aver subito un arresto per aver sostenuto una causa, c’è da chiedersi se e con quale spirito torneranno a farlo.

Poi c’è il secondo tempo, nel quale una parte del Paese, nonostante quello a cui può andare incontro, reagisce e si ribella: sulle porte dei professori sono comparsi anche i messaggi di affetto e solidarietà dei loro studenti; centinaia di personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo turchi si sono autoproclamati colpevoli tanto quanto gli arrestati; partiti dell’opposizione, camere del lavoro e sindacati hanno espresso chiaramente la loro solidarietà; diversi docenti che inizialmente avevano affermato di non condividere il contenuto del testo, si sono uniti alla petizione in segno di protesta. Tutte queste persone, mentre l’Europa sta a guardare, rischiano grosso.

  • Autore articolo
    Serena Tarabini
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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

    Clip - 01-07-2025

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    Jazz in un giorno d'estate di martedì 01/07/2025

    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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    Poveri ma belli - 01-07-2025

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    E’ morto l’architetto Francesco Borella, per tanti il papà del Parco Nord Milano. Lo ha diretto per venti anni dagli inizi degli anni ‘80, quando lo ha progettato insieme al paesaggista Adreas Kipar. Cava dopo cava, orto spontaneo dopo orto spontaneo, aziende agricole in dismissione dopo aziende agricole a fine ciclo, ha rigenerato e riconesso con percorsi ciclopedonali l’ampia area che tra Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo si estende a Cusano Milanino, Cormano e ai quartieri milanesi di Affori, Bruzzano, Niguarda e Bicocca. Un parco che negli anni ‘70, quando è stato voluto con le mobilitazioni popolari, sembrava impensabile che potesse avere le presenze che ha il più noto e storico Parco di Monza. Fabio Fimiani ha chiesto un ricordo dell’attuale presidente del Parco Nord di Milano, Marzio Marzorati. Radio Popolare si stringe affettuosamente con un abbraccio ai figli Joanna, Cristiana, Giacomo e Sebastiano Borella.

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    Il podcast di Francesco Tragni e Giuseppe Fiori registrato dal vivo a Germi. Enrico Gabrielli è stato il secondo ospite che ha raccontato quali sono i suoi vinili di riferimento: polistrumentista, compositore e arrangiatore, ha collaborato con artisti come Muse e PJ Harvey, e fa parte dei gruppi Calibro 35, Winstons e Mariposa (in passato anche negli Afterhours). Complessivamente compare in oltre 200 dischi. Ha anche suonato il flauto traverso nella sigla di Dodici Pollici.

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