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I numeri e la propaganda di Renzi

Non che i progressi nell’economia italiana non ci siano stati.

Ma il modo in cui il presidente del Consiglio, Matteo Renzi ha esaltato i risultati del Governo in economia sa di propaganda.

Dalla crescita del Prodotto Interno Lordo al lavoro, dalla riduzione del deficit e degli sprechi alla diminuzione delle tasse. Qualcosa si muove nell’economia italiana. Ma sembra essere ancora troppo poco per rispondere agli effetti della lunga crisi. Secondo quanto afferma Renzi l’Italia sarebbe fuori dal tunnel.

Un’analisi più dettagliata dei dati economici suggerisce che non sia così.

Come spiega Andrea Di Stefano, direttore della rivista Valori. Iniziamo dal dato del Pil: il Governo vanta la crescita dello 0,8 percento, certificata dall’Istat.

“Meglio delle previsioni” ha scritto Renzi: “a inizio 2015 avevamo ipotizzato un +0,7 percento”.

L’inversione di tentenza è positiva, in valori assoluti però siamo tra i 200 e i 250 miliardi di Euro al di sotto dei livelli del 2000” spiega Di Stefano.

A questi ritmi di crescita occorrerebbero tempi lunghissimi per recuperare.

Ascolta qui Di Stefano

DI STEFANO PIL

Una valutazione simile si può fare sul rapporto deficit/Pil. Quest’anno è sceso al 2.6 percento, sotto al 3 percento fissato come dato minimo dalle norme europee. Eppure l’avanzo primario e l’indebitamento sono peggiorati nel 2015 rispetto al 2014, ci dice Di Stefano.

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DI STEFANO DEFICIT

Numeri quantomeno interpretabili quindi. Un altro esempio è quello delle tasse. Sono diminuite, afferma Renzi.

“Se tariffe, tributi e prestazioni sanitarie aumentano – replica Di Stefano – alla fine il saldo non è positivo”

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DI STEFANO TASSE

Il vero cavallo di battaglia di Renzi è il lavoro. E i toni del presidente del Consiglio sui risultati del jobs act sono trionfanti:

“Il boom del jobs act è impressionante – ha scritto Renzi – Nei due anni del nostro Governo abbiamo raggiunto l’obiettivo di quasi mezzo milione di posti di lavoro stabili in più”

Il vero e principale fattore che ha determinato una crescita dei contratti stabili, più che il jobs act è il finanziamento alle imprese per le assunzioni. E i dati sull’occupazione resi noti da Inps e Istat non possono nascondere una realtà drammatica: l’occupazione giovanile non cresce. I nuovi assunti sono in maggioranza over 50.

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DI STEFANO LAVORO

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