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Hong Kong invasa dalla spazzatura

In Cina c’è tanto spazio, a Hong Kong no, tant’è che è stata proprio la zona amministrativa speciale ad aver lanciato, se non inventato, la tipologia architettonica del grattacielo, quando era ancora colonia britannica. Lo spazio conquistabile è quello verticale.

Ora rischiano di diventare grattacieli le pile di rifiuti che vanno ammucchiandosi sulle banchine del porto di Hong Kong, perché da quando Pechino ha posto un bando sull’importazione della spazzatura altrui, a dicembre, Hong Kong – sette milioni di abitanti schiacciati tra la terra e il mare – è andata in crisi.

Fino all’anno scorso, Hong Kong esportava oltre il 90 per cento dei suoi rifiuti riciclabili nella Repubblica Popolare. Tutto è cambiato alla fine del 2017, quando gli effetti del bando cinese hanno cominciato a farsi sentire in tutto il mondo. È curioso: Hong Kong è parte della Cina, ma per quanto riguarda la spazzatura evidentemente no.

Per ora la strategia è quella di accumulare la carta e gli scarti elettronici al porto, mentre la pastica finisce direttamente nelle 13 discariche cittadine, che si intasano e inquinano i terreni.

E cominciano le polemiche sul fatto che l’amministrazione della metropoli non abbia mai concepito strategie alternative di riciclaggio dei 6 milioni di tonnellate di rifiuti che produce ogni anno.

Un residente medio di Hong Kong getta via circa 1 chilo e mezzo di rifiuti al giorno, più del doppio rispetto ad altre città asiatiche come Tokyo, Seoul e Taipei, le quali hanno da tempo adottato programmi di riciclaggio.

Nel frattempo, i rifiuti urbani continuano a crescere senza sosta, sono aumentati dell’80 per cento negli ultimi 30 anni, mentre la popolazione di Hong Kong è cresciuta solo del 36 per cento.

Nonostante ci sia poco spazio, si ritiene che ce ne sarebbe abbastanza per creare impianti di riciclaggio dei rifiuti. Ma qui subentra il problema atavico. La terra a Hong Kong costa tantissimo, per via della speculazione immobiliare fuori controllo a opera di pochi gruppi di palazzinari che costituiscono di fatto un cartello monopolistico. Una speculazione iniziata ai tempi della colonia britannica e continuata indisturbata dopo il passaggio alla Cina formalmente socialista. Insomma, la terra è troppo preziosa per farci impianti di riciclo e smaltimento utili alla collettività.

  • Autore articolo
    Gabriele Battaglia
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    Il 15 marzo del 2021, due mesi dopo la morte di Simone, la procura di Busto Arsizio chiude l'indagine e chiede al tribunale di archiviare il caso: per i magistrati è stato un suicidio provocato dal down della cocaina. Leggendo gli atti della richiesta dei pm, i legali della famiglia scoprono però cose che non li convincono. "Simone" è un podcast scritto, prodotto e finanziato da Stefano Vergine. È disponibile gratuitamente anche sulle principali piattaforme audio e su YouTube. Per segnalazioni: https://www.instagram.com/stefano.vergine/

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    Simone ep.1 - La fuga

    Il pomeriggio del 3 gennaio del 2021 il corpo di un ragazzo di 28 anni viene trovato senza vita all'interno di una fabbrica in provincia di Varese. Impiccato con la sua stessa cintura a un macchinario usato per riciclare vetro. La notte prima era stato rincorso per tre ore da 14 carabinieri tra le province di Milano, Como, Varese e Monza. Il ragazzo si chiama Simone Mattarelli. "Simone" è un podcast scritto, prodotto e finanziato da Stefano Vergine. È disponibile gratuitamente anche sulle principali piattaforme audio e su YouTube. Per segnalazioni: https://www.instagram.com/stefano.vergine/

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