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Honduras, un Paese ostaggio delle gang criminali

Tegucigalpa Honduras ANSA

Il giorno dopo aver seppellito sua sorella, uccisa in mezzo alla strada da un colpo di pistola, a Maria Rodriguez è stato recapitato un biglietto anonimo dove le veniva intimato di lasciare la sua casa, il suo lavoro, tutti i suoi averi. Se avesse rifiutato, sarebbe stata assassinata. Il nome di Maria Rodriguez è di fantasia per proteggerne l’identità ma la sua storia, simile a quella di molte altre persone in Honduras, è vera ed è stata raccontata sul Guardian dalla giornalista Sarah Johnson.

Sono centinaia di migliaia gli honduregni che subiscono la violenza delle gang e che hanno dovuto stravolgere la loro vita. I dati più recenti ci dicono che tra il 2004 e il 2018 gli sfollati interni sono stati quasi 250mila, un numero che equivale al 2,7% della popolazione totale del Paese.

Rodriguez viveva a Tegucigalpa, la capitale dell’Honduras, in un quartiere violento dove la Calle 18 e MS-13, le due più note gang del Paese, terrorizzano i residenti e spadroneggiano sul territorio.

L’Honduras è afflitto dalla violenza delle gang da decine di anni. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine è il quarto Paese al mondo con il più alto tasso di omicidi. Mi è stato detto da un professore del posto che le politiche sociali sono davvero deboli e alle gang è stato quindi permesso di espandersi senza particolari difficoltà. E mi è stato anche riferito che più dei due terzi della popolazione non crede che le autorità conducano indagini serie, che portino a risultati concreti. I casi spesso non finiscono nei tribunali e il livello di impunità porta a un aumento delle violenze. Le gang spesso prendono di mira le attività locali e pretendono da loro una parte dei profitti ogni settimana. C’è anche molta violenza sessuale contro donne e bambini. La violenza in Honduras esiste davvero in ogni forma.

Questa situazione critica viene affrontata dalla Croce Rossa internazionale e da poche altre organizzazioni non governative che provano a offrire aiuti specifici alle persone coinvolte nelle violenze. Ma la loro attività riesce a soddisfare soltanto le necessità di una piccola parte.

Al momento non ci sono aiuti governativi. Le vite di queste persone sono davvero difficili: se provano a resistere contro le violenze rischiano la morte, l’abuso sessuale, minacce e aggressioni. In molti casi lasciano il Paese e tentano di arrivare, tra mille pericoli, negli Stati Uniti. Queste persone poi non affrontano solo difficoltà economiche ma anche grossi problemi di salute mentale. I più giovani interrompono gli studi mentre gli adulti faticano a trovare lavoro.
Il Governo è consapevole del problema: il precedente esecutivo nel 2013 ha istituito una commissione per analizzare l’impatto di questo fenomeno e trovare soluzioni, mentre nel marzo 2019 una proposta di legge è arrivata al Congresso Nazionale dell’Honduras. Se venisse approvata consentirebbe l’implementazione di politiche pubbliche per agire concretamente sul problema. Ma è la proposta è bloccata da tre anni perché nessuno sembra essere interessato a farlo approvare. Molte persone con cui ho parlato in Honduras nutrono grandi speranze nei confronti della nuova presidente, Xiomara Castro. È la prima presidente donna e gli attivisti sono ottimisti sul fatto che possa portare benefici nel Paese e mi è stato detto che il nuovo Governo è già al lavoro per rimuovere dalle cariche istituzionali personaggi legati ad attività criminali.

Poco meno di un mese fa Johnson è rientrata dall’Honduras. È ancora in contatto con Maria Rodriguez.

La situazione è ancora molto difficile, l’ho sentita alcuni giorni fa e la sua vita continua a essere precaria. Sta ricominciando da zero ma gli aiuti sono limitati. E ora deve farcela da sola in un Paese tormentato dalla povertà, dalle disuguaglianze, duramente colpito dalla pandemia, dalla crisi climatica e dalla violenza delle bande.

di Eleonora Panseri

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