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Lo Yemen preso in scacco

In Yemen la guerra ha messo in scacco il Paese. Dopo una primavera yemenita fiorita nel 2011 che ha messo fine al regime, è esploso un conflitto che vede come attori principali due fazioni che rivendicano il potere. Da una parte i separatisti del Sud e le forze leali al governo di Abd Rabbo Mansour Hadi, ora in esilio, e sostenuto dagli Stati Uniti. Dall’altra ci sono con le milizie sciite houthi rimaste fedeli al presidente deposto, Abdullah Saleh. Ma questi sono sono gli attori principali della guerra in corso. Ci sono anche le organizzazioni di al Qaeda della Penisola Arabica che partecipano al conflitto e controllano anche alcuni territori.

In questo quadro è anche in corso un intervento militare straniero, chiamato Operazione Tempesta Decisiva, realizzato da una coalizione di alcuni Stati arabi, guidati dall’Arabia Saudita. Da un anno, dal 25 marzo del 2015, agli scontri si sono aggiunti i raid aerei appunto dell’operazione militare che vuole contrastare le forze houthi, accusate di essere sostenute dall’Iran.

Abbiamo ripercorso per sommi capi lo stato di guerra in cui si trova lo Yemen. Abbiamo visto chi manovra le armi. Ma in tutto ciò qual è la condizione della popolazione civile? La storia ci ha insegnato che sono proprio i civili a pagare più di tutti. Sul nostro continente solo vent’anni fa non possiamo dimenticare i massacri che trasfigurarono il paesaggio bosniaco.

Ora in Yemen chi cade sotto le bombe dei raid della coalizione sono proprio i civili. A dirlo la denuncia dell’Onu che accusa gli aerei guidati dai sauditi di provocare il doppio delle vittime rispetto a qualsiasi altro combattimento in corso nel Paese.

I bombardamenti iniziati un anno fa hanno ucciso almeno seimila persone. Di queste la metà sono civili.

Nel mirino ci sono mercati, ospedali, scuole, fabbriche, banchetti nuziali e anche centinaia di case in villaggi, cittadine. Bombe che colpiscono anche la capitale Sana’a.

Una delle stragi che ha superato per qualche giorno il muro di silenzio in Occidente è il fuoco che ha investito i cittadini di Sanban, a circa 80 chilometri da Sana’a. Lo scorso ottobre un missile della coalizione saudita ha centrato una casa dove era in corso una festa per le nozze in contemporanea di tre fratelli. Un errore, diranno i sauditi, che ha tolto la vita ad almeno 22 persone.

Questo avviene in un Paese che nonostante l’estrema povertà, ha ospitato negli anni 250mila rifugiati e un milione di migranti arrivati dal Corno d’Africa attraversando il golfo di Aden, su barconi in condizioni pericolosissime, spesso vittime del traffico di esseri umani.

Ma ora chi riesce inverte il percorso in direzione di Gibuti per scappare da un inferno fatto di guerra. In un anno circa diecimila yemeniti hanno lasciato il Paese che raccontano come ormai un campo di rovine.

I civili sono ostaggio in un terreno conteso da due tra i Paesi più potenti del Medio Oriente, Arabia Saudita e Iran, dove anche come abbiamo visto gli Stati Uniti hanno interesse a mantenere un influenza per la sua posizione strategica: lo Yemen controlla mezzo di quello stretto che collega il mar Rosso con il golfo di Aden e che è una via di commercio importante, anche per il passaggio del petrolio.

La sua popolazione è messa in scacco quindi, da guerre per procura e interessi geopolitici.

“Effetti collaterali. Popolazione civile in pericolo” è la rubrica, a cura di Cristina Artoni, in onda ogni lunedì su Radio Popolare alle 9.20

Ascolta qui la puntata sullo Yemen

Effetti collaterali Yemen per

  • Autore articolo
    Cristina Artoni
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    Pubblica ha ospitato Nino Di Matteo, sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia. La giustizia che verrà: veloce contro gli ultimi e con le armi spuntate verso la criminalità dei colletti bianchi. «La separazione delle carriere dei magistrati - sostiene il giudice Di Matteo - è un pericolo per i cittadini». La legge costituzionale Meloni-Nordio, ci ha raccontato Di Matteo, vuole colpire l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. Non solo. La “riforma” Meloni-Nordio è inserita in un contesto di nuove norme (dall’abrogazione dell’abuso d’ufficio alla limitazione delle intercettazioni, alla sterilizzazione del traffico di influenze) che rappresentano una sorta di scudo di protezione dei potenti. Quindi, con la perdita di autonomia e indipendenza della magistratura (soprattutto nei riguardi del pubblico ministero); con una legislazione ordinaria orientata alle esigenze di polizia, l’eventuale vittoria dei SI alle nuove norme sposterebbe l’equilibrio dei poteri verso l’esecutivo. L’eventuale varo del premierato finirebbe per sanzionare una vera e propria concentrazione di potere in capo al governo.

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