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Le riforme di Macron

Emmanuel Macron

La prima stesura della riforma delle istituzioni, annunciata da Emmanuel Macron davanti al congresso di Versailles nel luglio scorso e presentata ieri dal primo ministro Eduard Philippe, non è stata accolta con molto entusiasmo dalle forze politiche.

Sulla carta, le proposte del governo dovrebbero rispondere al bisogno dei cittadini di avere delle istituzioni più snelle, meno care e più rappresentative grazie alla diminuzione del numero di parlamentari, all’introduzione di una parte di proporzionale ed alla scelta di limitare il numero di rielezioni possibili. In realtà, solo alcune misure minori, come quella che prevede che gli ex capi di stato non diventino più automaticamente membri del Consiglio costituzionale, fanno l’unanimità.

Persino la decisione di inserire nella costituzione la specificità della Corsica non ha raccolto molti consensi, a cominciare proprio dai nazionalisti Corsi che trovano la formulazione troppo riduttiva.

Nel dettaglio, la proposta di legge prevede che si riduca del 30% il numero di deputati e di senatori, che oggi sono 577 e 348. Una formula che non piace per nulla alla destra, che ha la maggioranza al Senato, e che sottolinea come il nuovo parlamento non sarebbe rappresentativo della popolazione francese. Secondo i calcoli di alcuni giornali, con le nuove regole la Francia avrebbe meno deputati per numero di abitanti della Russia.

Per quanto riguarda l’introduzione del sistema proporzionale, servirebbe ad eleggere il 15% dei deputati. Una soglia che non soddisfa pienamente la destra, che chiedeva il 10% massimo, ma soprattutto delude profondamente gli alleati centristi di Macron, i Modem, che volevano arrivare come minimo al 25% e avevano fatto pressione in questo senso. Il presidente dei centristi, François Bayrou, ha già detto che per lui questo non è che un primo passo verso la riforma, non il testo definitivo, ma la scelta del governo di non ascoltare le richieste dei suoi alleati potrebbe causare non poche tensioni nella maggioranza.

Per quanto riguarda il numero di rielezioni allo stesso posto, il testo presentato da Edouard Philippe le limiterebbe a tre, ma la restrizione non varrebbe per i sindaci delle città con meno di 9000 abitanti. In un paese come la Francia, il presidente del Senato ha ricordato che sarebbe in applicabile per il 95% dei sindaci. La norma entrerebbe poi in vigore solamente nel 2037 per i deputati e nel 2038 per sindaci e senatori. In ogni caso, la misura è stata accolta favorevolmente dalla sinistra e il governo sottolinea che servirà ad assicurare l’emergere di nuove generazioni di politici.

Viste le critiche e le polemiche che ha suscitato, la riforma istituzionale di Macron potrebbe non riuscire a superare l’esame delle camere e il presidente ha già pronto il piano B: il referendum. Una mossa rischiosa perché, se in teoria le misure parlano alla pancia degli elettori e alcuni sondaggi dicono che l’80% dei votanti è favorevole alla riforma, l’opinione pubblica è volubile e l’opposizione coglierebbe l’occasione per trasformare lo scrutinio in un referendum anti-Macron.

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    Luisa Nannipieri
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    Se ne parla solo quando c'è un suicidio, ma il tema della salute mentale negli istituti penitenziari va ben oltre i fatti di cronaca nera ed è un tema che investe chiunque abbia a che fare col carcere. Detenuti e detenute in primis, ma anche chi tra quelle mura ci lavora: educatori e educatrici, psicologi e psicologhe, agenti di polizia penitenziaria. Tra sovraffollamento, scarse condizioni igienico-sanitarie e politiche poco umane, si rischia di impazzire. Ne abbiamo parlato con il consigliere comunale di Milano Alessandro Giungi, il consigliere regionale lombardo Luca Paladini, il nuovo garante dei detenuti di Milano Luigi Pagano, col coordinatore del dipartimento di amministrazione penitenziaria della Fp-Cgil della Lombardia Andrea De Santo e con la coordinatrice di Antigone Lombardia Valeria Verdolini.

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