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Fine della storia, non della memoria

Torna Juan Belmonte nell’ultimo romanzo di Luis Sepulveda. Lo scrittore cileno, tanto amato sia dai grandi che dai bambini, esiliato dopo essersi ribellato alla dittatura di Augusto Pinochet pagando in prima persona con un’incarcerazione e con la prigionia della donna che amava, poi liberata fingendosi morta, con La fine della storia (Guanda) torna a fare i conti con alcuni aspetti della propria biografia. Lo aveva già fatto dodici anni fa con Un nome da torero, libro in cui compare per la prima volta l’ex guerrigliero Belmonte, alla ricerca della moglie tra Berlino e la Terra del Fuoco. Un noir, tratto da episodi reali.

Nel nuovo romanzo si legge di un’altra missione molto ardua, a cui viene chiamato da vecchi compagni di guerriglia convertiti allo spionaggio, coinvolgeno tra le zone descritte l’Unione Sovietica della Seconda Guerra Mondiale, il Cile di oggi e quello degli anni ’70-’80, incontrando cosacchi, spie e criminali spietati. Ma anche persone per bene che insieme a lui avevano sostentuo Salvador Allende. Anche qui compare la moglie in differenti momenti chiave. E il tormento e la rabbia di Belmonte sono il motore per portare avanti un’azione vendicativa e riparatoria.

Scorrevole e intrigante La fine della storia ti rincorre fino all’ultima pagina, raccogliendo elementi di verità uniti a una forma romanzata che assomiglia a quella cinematografica. Un linguaggio non estraneo all’autore di Le rose di Atacama, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore (a cui seguì la trasposizione cinematografica di Rolf De Heer), Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (diventato un film di animazione di Enzo D’Alò, sceneggiato e narrato con la voce dello stesso Sepulveda) solo per citare tre romanzi tra i più di quaranta pubblicati, perchè lui stesso diresse il film Nowhere nel 2002 e dedicato ancora una volta a una storia legata alla dittatura.

Ascolta qui l’intervista a Luis Sepulveda

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  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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