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Senza livelli essenziali di assistenza difficile farla

Ha compiuto due anni il 9 aprile la sentenza della Corte costituzionale che abolì il divieto di fecondazione eterologa contenuto nella legge 40. In pratica, la normativa ha consentito la procreazione medicalmente assistita anche al di fuori della coppia e con il contributo di un donatore esterno.

Questa procedura è stata effettuata fin dal primo giorno del via libera al Carlo Poma di Mantova ma, nonostante il boom delle prenotazioni dell’inizio, ora i numeri sono molto bassi. Secondo i dati del 2013 contenuti nell’ultima relazione del ministro della Salute Beatrice Lorenzin al parlamento sull’applicazione della legge 40 che disciplina la procreazione medicalmente assistita, degli oltre 27mila cicli di cura iniziati con tecnica di primo livello, solo nel 10,2 per cento dei casi – 2.700 – la donna è riuscita a ottenere una gravidanza.

Aumenta, ma senza arrivare mai a grandi numeri, il successo con tecniche più sofisticate. Di 55mila trattamenti iniziati le gravidanze sono state 10.712, il 19,5 per cento. Dal 2014, dopo la sentenza della Corte costituzionale, anche in Italia si può fare l’eterologa ma non senza problemi. Perché la sanità regionale fa in modo che l’orientamento politico di una Regione possa limitare l’accesso alle cure per esempio prevedendo di non comprendere nei Lea – i livelli essenziali di assistenza – l’eterologa. Così le coppie se vogliono un figlio con queste tecniche devono pagare di tasca propria le cure che possono arrivare anche oltre i 10mila euro a seconda di quanti tentativi si sceglie di fare. “Nel nostro centro – dice il responsabile della procreazione medicalmente assistita del Poma, Massimo Bertoli – l’eterologa si può fare, però in pratica non la facciamo. Primo perché mancano i donatori, secondo non sappiamo ancora quanto e se dobbiamo farla pagare”.

Ascolta qui l’intervista a Massimo Bertoli

Massimo Bertoli per sito

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    Alessandro Braga
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