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Fallujah contesa

Liberare Fallujah dalle grinfie di Daesh è un obiettivo strategico per il governo di Baghdad. Ma è anche una prova delle sue capacità di gestire una situazione difficile in una provincia a maggioranza sunnita. Fallujah è stata la prima città irachena occupata dai miliziani di Daesh e sottratta al controllo governativo.

La perdita di Fallujah, nel gennaio 2014, ancora prima dell’autoprocalamazione del falso Califfato, è stata il risultato di una sciagurata politica di discriminazione confessionale dell’ala oltranzista del governo Al Maliki, che ha fatto dello scontro frontale con i sunniti il motivo della propria propaganda ed azione politica. Una ferita dell’unità nazionale, slogan tanto sbandierato, che ha aperto varchi all’azione degli jihadisti.

Ad oltre due anni dalla caduta della città, che aveva dato filo da torcere agli invasori statunitensi nel 2004, lunedì scorso le truppe speciali irachene hanno assaltato, all’alba e dopo oltre un mese di assedio, il centro abitato su tre direttrici. Secondo quanto annunciato dal premier Al-Abbadi sarebbe la terza e definitiva fase per la liberazione della città “entro 48 ore”. Un’enfasi e una sicurezza che non sembrano condivise dai militari sul fronte. I portavoce militari da Fallujah, infatti, hanno parlato di una campagna lunga e di aver incontrato una forte resistenza.

Le operazioni a terra sono sostenute dai raid aerei della Coalizione statunitense. Si registra, però, una sostanziale differenza di strategia tra iracheni e statuniteni. Washington è preoccupata per le possibili vendette delle milizie sciite Hashd Shaabi (Mobilitazione Popolare), che in passato hanno compiuto azioni di pulizia etnica e confessionale nei confronti dei civili sunniti, a Tikrit e a Ramadi.

In effetti, nel secondo giorno dell’offensiva, i rapporti dal fronte sono contrastanti. Mentre da Baghdad si parla della ripresa del quartiere Shuhadaa nella parte sud ovest della città, notizie raccolte dall’interno di Fallujah, da parte di network televisvi arabi, sostengono che l’avanzata delle truppe speciali è stata rallentata dalle operazioni dei suicidi, messa in campo dai miliziani jihadisti. Per non parlare delle mine e delle trappole esplosive disseminate in tutte le principali arterie che conducono al centro abitato.

Il rallentameto dell’avanzata è riconosciuto dallo stesso portavoce del governo che adduce la necessità di evitare grosse perdite fra la popolazione intrappolata. 50 mila civili sono ancora dentro la città assediata da oltre un mese e ci sono notizie di morte per fame e sete. Oltre alle bombe dell’artiglieria e dei raid aerei. I pochi sfollati che sono riusciti a fuggire dalle grinfie di Daesh e si sono rifugiati dietro le linee del fronte, assistiti dalle organizzazioni umanitarie, hanno raccontato che i jihadisti hanno ucciso i giovani di Fallujah che si sono rifiutati di combattere al loro fianco. Non sono mancate però anche le testimonianze di maltrattamenti subiti per mano delle milizie sciite Hashd che affiancano l’offensiva delle truppe governative.

  • Autore articolo
    Farid Adly
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