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E lo chiamiamo ancora lavoro?

lavoro cantiere ANSA

Due morti simili, uno dietro l’altro, evitabili. Prima Luigi Rinaldi, il 63enne bergamasco colpito da una benna staccatasi da un escavatore lunedì in un cantiere di Autostrade per l’Italia, quello per la superstrada Rho-Monza; insieme a lui è rimasto coinvolto un altro collega di lavoro, 64enne, ricoverato in critiche condizioni (a quell’età ancora in cantiere sigh!); poi, martedì un cinquantenne ancora senza nome ucciso sempre da un escavatore a Besate Brianza.

Si è detto in questi mesi che il boom di cantieri e di aziende improvvisate nell’edilizia stia causando troppe morti: 116 finora in Italia, nel settore, di cui 16 in Lombardia e 12 solamente nella città metropolitana di Milano. Ieri in città si è sfiorato un altro incidente mortale con un operaio schiacciato da una cassaforte all’interno della sede in ristrutturazione di Ubi Banca di via Padova.

Di ristrutturazioni e cantieri stradali si conoscono i rischi, quasi sempre misurabili in prescrizioni che evidentemente non ci sono o non vengono rispettate. E il sindacato ha un bel chiedere che la ripresa non sia pagata con la vita dei lavoratori, che la sicurezza diventi un investimento e che i protocolli delle Prefetture non rimangano buoni propositi.

Inesorabili rispondono nuovi incidenti e omicidi. A Luigi Rinaldi mancavano pochi contributi per la pensione e i colleghi di lavoro ieri hanno destinato alla sua famiglia una giornata di retribuzione. Un gesto di grande sensibilità e solidarietà ma – se permettete – anche di grande tristezza che svela la solitudine della classe operaia, l’assenza di qualsiasi decenza per quello che chiamiamo lavoro e di cui c’è davvero poco di cui essere orgogliosi.

  • Autore articolo
    Claudio Jampaglia
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