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Dopesick, la miniserie sull’epidemia di oppioidi negli USA

dopesick

The Crime of the Century, “il crimine del secolo”, è il titolo del documentario che Alex Gibney ha realizzato per HBO, e non potrebbe essere più azzeccato: si riferisce infatti all’epidemia di farmaci oppioidi che negli ultimi decenni ha investito gli Stati Uniti, in particolare alcune zone dell’America rurale e operaia. The Crime of the Century in Italia è ancora inedito, ma nella sezione Star di Disney+ è disponibile Dopesick, miniserie che con budget consistente e cast di lusso rimette in scena quella stessa storia.

Un “crimine perfetto” e insieme un fallimento totale dello stato e del sistema economico e sanitario: nella cosiddetta Rust Belt, tra i monti Appalachi e i Grandi laghi, sede di un’industria mineraria o metalmeccanica un tempo fiorente ma dagli anni 80 in declino, i turni di lavoro sono massacranti, dolorosi e inevitabili, visto che con la crisi non è possibile perdere nemmeno un’ora d’impiego. La popolazione affetta da dolori cronici è altissima, ed è proprio questo territorio – sulla cui schiena si è letteralmente edificata l’America, dice qualcuno – che viene preso di mira, negli anni 90, dalla Purdue Pharma, un’azienda farmaceutica intenzionata a diffondere un nuovo farmaco antidolorifico chiamato OxyContin. Come altri prodotti simili – il Vicodin, il Percocet, il Fentanyl: tutti nomi che milioni di statunitensi hanno imparato a conoscere bene loro malgrado – anche l’OxyContin è un oppioide e, di conseguenza, dà una forte dipendenza, ma gli addetti alle vendite della compagnia, appositamente istruiti, spingono insistentemente il farmaco presso i medici sul territorio, sostenendo – falsamente – che solo l’1% dei pazienti trattati ne diventa assuefatto. Eppure nelle comunità in cui i dottori cominciano a prescrivere OxyContin ai tanti concittadini affetti da dolori lancinanti ma obbligati a non prendere neppure un giorno di malattia, si sviluppano presto gli effetti di una tossicodipendenza diffusa, una vera e propria epidemia che s’infila capillare in ogni aspetto della vita quotidiana: quando i medici si rifiutano di continuare a prescrivere le pillole legalmente, si sviluppa un traffico di medicine illegali, oppure in molti passano direttamente al consumo di eroina; si diffondono microcriminalità, prostituzione, problemi familiari e, soprattutto, morti per overdose. Intanto, le compagnie farmaceutiche – e nel caso dell’OxyContin, una famiglia in particolare, la Sackler – si arricchiscono vertiginosamente, incassando utili inimmaginabili: cosa c’è di meglio che vendere un prodotto di cui gli acquirenti non possono letteralmente fare a meno?

Dopesick è scritto da Danny Strong (ex attore passato alla sceneggiatura, tra le altre cose ha firmato lo script di The Butler) e tratto dal libro d’inchiesta Dopesick: Dealers, Doctors and the Drug Company that Addicted America di Beth Macy; tra gli attori protagonisti, Michael Keaton (che dopo il successo di Il caso Spotlight si trova a proprio agio nelle narrazioni di denuncia civile), Rosario Dawson, Peter Sarsgaard, Katlyn Dever e Michael Stuhlbarg, con Barry Levinson (veterano hollywoodiano, già dietro la macchina da presa di Rain Man, Good Morning Vietnam e Sesso & potere) alla regia dei primi due episodi. La narrazione di Dopesick si srotola su diversi piani temporali e differenti linee narrative, saltando tra gli anni e gli eventi, e anche un po’ tra i generi, inseguendo i vari nuclei della storia: il dramma civile, il poliziesco, il thriller giudiziario. Sembra incanalarsi in molte direzioni, perché è proprio quel che è accaduto con l’epidemia degli oppioidi in Usa (e ancora accade: l’emergenza non si è fermata, anche se la Purdue, cui diversi stati hanno fatto causa, proprio quest’anno ha concluso un patteggiamento milionario).

Dopesick pretende la nostra attenzione, perché i livelli sono molti e il caso è complesso, ma soprattutto perché per troppo tempo la crisi è stata ignorata quasi da tutti, politici progressisti e grandi media compresi: dopotutto, si svolgeva lontano dai centri del potere, nelle zone più povere del paese. Ascoltare e guardare, ora, non è che il minimo.

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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