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“Da Casaleggio una rivendicazione antidemocratica”

“La parola adatta per descrivere il post di Davide Casaleggio è rivendicazione”.

Non usa mezze misure il giornalista de La Stampa Jacobo Iacoboni, intervistato da Radio Popolare, nel rispondere a Davide Casaleggio, dopo che il figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle ha spiegato su Facebook la decisione di impedire a Iacoboni di partecipare alla kermesse pentastellata di Ivrea lo scorso fine settimana ricordando le parole del padre, lo scomparso Gianroberto Casaleggio: “lo sciacallo Iacoboni usa il pretesto delle mie condizioni di salute, note da tempo, per inventare retroscena inesistenti e fuori dalla realtà sulla gestione del Movimento 5 Stelle e schizzare veleno sul portavoce”.

“In un evento per ricordare il pensiero e gli ideali di mio padre – ha aggiunto Davide Casaleggio- mi sono chiesto se lui avrebbe voluto che ci fosse una persona tanto meschina. E sulla risposta non ho avuto alcun dubbio”.

“E’ una rivendicazione dal sapore squadrista” replica oggi Jacopo Iacoboni a Radio Popolare, ai microfoni di Luigi Ambrosio e Gianmarco Bachi durante la trasmissione Il Demone del Tardi.

L’uomo più potente, colui che ha le chiavi del partito più potente d’Italia, rivendica con orgoglio la cacciata di un giornalista. Il capo quasi di una setta, per reato di lesa maestà, si accanisce contro un uomo che agisce da solo, un giornalista che cerca di raccontare e capire”.

Perché Casaleggio ce l’ha così tanto con te?

“Lui lo spiega nel post. Noi oltretutto alla Stampa lo sapevamo già perché la stessa spiegazione ci è stata data sabato mattina, dopo che abbiamo cercato di mediare per non fare esplodere il caso. La notizia alla fine è stata data da un collega dell’Huffington Post, Pietro Salvatori, che assiste alla scena incredibile e sente con le sue orecchie quanto mi viene detto da una donna dello staff di “Sum02”: “abbiamo l’ordine di non farlo entrare”. Non quindi un problema di mancanza del badge o dell’accredito, ma l’ordine di non farmi entrare”.

Ogni problema burocratico si poteva risolvere in cinque minuti.

“Alle 11 l’Huffington Post fa uscire la notizia, passano ancora del tempo prima che il direttore de La Stampa scriva un comunicato e in quell’ora e mezzo cerchiamo di mediare, di disinnescare il caso. Alla fine loro dicono sia alla Stampa che all’Ansa che io vengo escluso a causa di articoli sgraditi e citano in particolare l’articolo in cui, una settimana prima della morte di Gianroberto Casaleggio, che io ovviamente non potevo prevedere, avevamo scritto della successione dinastica dell’azienda-partito tra padre e figlio. E’ l’articolo per cui mi danno dello sciacallo. Un articolo in cui ovviamente non ci sono dati sensibili su Gianroberto Casaleggio ma solo il dato politico e aziendale del passaggio di consegne tra il padre e il figlio. Questo è il livello di verità e di democrazia di queste persone”.

Iacoboni è autore di un libro, “L’esperimento”, in cui descrive i meccanismi di funzionamento del Movimento 5 Stelle e della piattaforma Rousseau.

Davide Casaleggio non ha mai voluto rispondere a domande cruciali sull’azienda-partito, sull’eventuale profilazione” dice Iacoboni. “Il Garante della Privacy li ha sanzionati e in un documento allegato della sentenza ha ritenuto che è possibile, in astratto, per Davide Casaleggio, profilare gli iscritti di Rousseau. Il Garante non dice se lo abbia fatto o meno, dice che è teoricamente possibile. Basta già questa teorica possibilità a fare molte domande sulla possibilità di profilazione oppure se sia stata usata una targettizzazione pubblicitaria proveniente da banche dati commerciali e utilizzata in politica. Tutte domande che sono state poste da Federico Fubini, dal Financial Times, dal New York Times, da me. Senza risposte”.

“Potrei facilmente allegare l’ultima email in cui una decina di giorni prima di andare a Ivrea, a smentire anche il fatto che io non avessi cercato di contattarli -continua Iacoboni- chiedevo proprio a Davide Casaleggio se voleva rispondere a una serie di domande. Le mancate risposte naturalmente lasciano aperte le domande”.

Il tema va oltre il caso Iacoboni e ha una valenza politica importante.

“E’ lecito ancora fare delle domande in Italia o si apre una stagione in cui questo dà fastidio? Io ho la fortuna di lavorare in un grande giornale democratico e liberale, La Stampa, e ringrazio il direttore Maurizio Molinari e tutta la catena di comando. Siamo una squadra. Ma penso a tutte le persone che non sono nelle mie condizioni, magari giornalisti senza giornale. Mi ha colpito anche il fatto che la decisione sia stata presa direttamente da Casaleggio, ci sono delle decisioni che vengono prese sopra la testa di Di Maio”.

Come giudichi il fatto che gli altri giornalisti, anche dopo avere saputo della tua esclusione, abbiamo deciso di continuare a lavorare, quel giorno?

A noi giornalisti non è chiesto l’eroismo. I colleghi sono tutti andati là per fare un lavoro, raccontare. Tutti lo hanno fatto. Io tante volte sono stato inviato e ho sempre cercato di entrare, essere nei posti, perché ho sempre pensato che il mio compito fosse quello di entrare e raccontare. Non penso che sarebbe cambiato qualcosa se altri non fossero entrati. Dico semplicemente che secondo me è brutto non far parlare una persona, cacciare un giornalista, è profondamente antidemocratico. Ma devo dire che non mi è mancata la solidarietà, a parte poche eccezioni. Mi ha fatto piacere che anche sui social avessi la sensazione che tutto fosse nella sostanza chiaro”.

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    Redazione
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    Raul Gatti è un ex campione del tennis caduto in disgrazia, alcolista e disoccupato, interpretato da Pierfrancesco Favino nel film Il Maestro: “Ho seguito il tennis fin da ragazzo e mi sono subito affezionato a questo personaggio perdente, il più fallito che ho interpretato nella mia vita. Perché anche quelli che ho rappresentato in passato, per quanto fossero decaduti, avevano comunque un atteggiamento da vincenti”. Siamo negli anni ‘80 e Gatti viene assoldato per allenare un giovanissima promessa, Felice Milella, un ragazzino di 13 anni con i numeri per partecipare ai match più prestigiosi. Il regista Andrea Di Stefano aveva questo progetto nel cassetto molto prima che il tennis tornasse ad essere uno sport di moda: “Ho scritto questa sceneggiatura nel 2006, l’ho depositata e abbiamo le prove – ironizza il regista. Doveva essere il mio primo lungometraggio, prima ancora di realizzare L’ultima notte di Amore, con Pierfrancesco Favino, a cui avevo già pensato allora per questo personaggio di divo decaduto”. L'intervista di Barbara Sorrentini al regista Andrea Di Stefano e a Pierfrancesco Favino.

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