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Continua la guerra al diritto all’aborto negli Stati Uniti

Proteste pro aborto negli Stati Uniti

Nel 1973, quando la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America si pronunciò sul caso “Roe contro Wade”, l’aborto entro i 7 mesi di gravidanza venne riconosciuto come diritto costituzionale. Ma, oggi, 50 anni di progresso potrebbero venir spazzati via in pochi mesi. Ne è convinta Emma Hernandez, attivista di “We Testify”, un’organizzazione nata per dare alle persone che hanno scelto di abortire la possibilità di raccontare la loro storia.

“In questo momento, negli Stati Uniti, stiamo assistendo all’emersione di tutta una serie di leggi che vietano l’aborto, come quella del Texas, dove è proibito dopo le 6 settimane. Si tratta di una legge che pone un limite ancora prima che le persone scoprano di essere incinte. E, sfortunatamente, di recente, lo stato vicino dell’Oklahoma, che fino a poco tempo fa era un luogo dove le donne del Texas potevano andare per abortire, ha istituito un altro divieto che dovrebbe entrare in vigore ad agosto.
Stiamo avendo una crescente difficoltà nell’accesso all’aborto anche se in questo momento, secondo la Costituzione, l’aborto dovrebbe essere accessibile e legale. Ci sono però alcuni singoli Stati che stanno creando leggi restrittive e divieti che rendono l’aborto praticamente impossibile. L’effetto che potrebbe avere nel tempo è che, anche se gli Stati liberali manterrano la possibilità di abortire, aumenterà il numero di persone che devono spostarsi da uno Stato all’altro per farlo. Gli Stati che hanno divieti di questo tipo sono concentrati nel Sud e nell’Midwest degli Stati Uniti. Se una donna si trova nel sud del Paese e ha la possibilità di viaggiare solo con la macchina, quello che l’aspetta è un viaggio di 8 ore per raggiungere il New Mexico, dove l’aborto è legale.
Ci aspettiamo il peggio con la decisione che verrà presa a giugno dalla Corte Suprema e ci stiamo preparando a una situazione dove l’aborto entro i sette mesi non sarà più legale in quasi tutti gli Stati Uniti”.

Quello che Hernandez e le attiviste di tutto il Paese temono, è infatti la decisione che la Corte Suprema, attualmente a maggioranza repubblicana, prenderà a giugno sulla sentenza “Dobbs contro Jackson”. Il caso riguarda una legge approvata nel 2018 dal Mississippi (ma non entrata in vigore) che vieterebbe l’aborto dopo 15 settimane di gravidanza. E se alla Corte dovesse passare potrebbe ribaltare completamente la “Roe contro Wade”. Già da alcuni anni diversi Stati repubblicani hanno provato ad aggirare la sentenza del ’73, legiferando in materia con l’obiettivo di ostacolare o impedire alle donne di abortire. I casi più recenti sono quelli del Texas, dell’Oklahoma, della Florida e del Kentucky.

“Io posso parlare della mia esperienza personale. Quando ho abortito la prima volta, in Indiana, c’erano delle restrizioni ma sono riuscita comunque ad abortire. A ogni modo, una persona deve affrontare diverse forme di violenza, anche solo nell’andare in clinica, anche se sono strutture che praticano l’aborto.
Davanti a questi luoghi si riuniscono persone che fanno parte di associazioni anti-abortiste che intimidiscono e insultano chi si sta recando in clinica per accendere a un servizio utile per la loro salute. E sappiamo anche che le persone che abortiscono vengono spesso insultate online.
In diversi Stati viene fatta richiesta di sottoporsi a tante visite, prima di poter effettivamente abortire. Così le donne sono costrette a muoversi il più rapidamente possibile per rientrare nelle tempistiche. In altri Stati, invece, bisogna per legge fare un’ecografia e avere l’immagine dell’embrione. Vengono mostrate queste immagini nella speranza che ti possano far cambiare idea.
Quindi, che siano le proteste degli antiabortisti fuori dalla clinica o leggi restrittive che rendano ancora più difficile prendere questa decisione, ci sono tanti ostacoli che impediscono di procedere con un aborto, anche se per chi sceglie di farlo si tratta della decisione migliore. La crudeltà è scritta nelle leggi, sta nell’essere sicuri di aver reso ancora più difficile per qualcuno la scelta di abortire”.

Quanto sta avvenendo negli Stati Uniti, e in molti altri Paesi, ci mostra come i diritti sessuali e riproduttivi delle donne siano ancora estremamente in pericolo.

“L’aborto negli Stati Uniti non è assolutamente qualcosa di equilibrato, e manca anche una rappresentanza politica adeguata. Perché se si osservano le statistiche, i dati, la maggior parte delle persone supporta l’aborto ma si tratta di una cosa che non si riflette nel nostro sistema legislativo.
Esiste uno stigma fortissimo intorno all’aborto che fa pensare alle persone che ci abortisce stia facendo qualcosa di moralmente sbagliato. Quando, in realtà, sappiamo perfettamente che l’aborto è una delle procedure mediche più sicure, che ci sono medicinali sicuri per abortire. Abbiamo così tante informazioni oggi per fare questa scelta senza rischi per tutti coloro che sono coinvolti.
Eppure, assistiamo a un rinnovato interesse nel legiferare sul corpo delle persone e sulle scelte personali che queste vogliono fare per se stesse.
Ma sappiamo perfettamente che le persone, che sia legale o meno, cercheranno sempre di abortire se ne hanno bisogno. E quindi, limitandolo in questo modo, stanno trasformando una procedura medica sicura in qualcosa di estremamente rischioso”.

Eleonora Panseri
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    Gran Bretagna e Germania, i grandi malati d'Europa. Il primo ministro britannico Starmer e il cancelliere tedesco Merz sono entrambi proiettati in una rincorsa della destra estrema. Il laburista britannico Starmer, due settimane fa: «restauriamo ordine e controllo», titolo di un documento presentato alla Camera dei Comuni. Il democristiano tedesco Merz: ci vogliono «controlli ai confini e respingimenti» perchè «l’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano». Proprio così. Germania e Gran Bretagna, due potenze economiche mondiali: la Germania (80 milioni di abitanti) con il terzo pil del mondo (dopo Stati Uniti e Cina); il Regno Unito (con 60 milioni di abitanti) con il sesto pil mondiale (dopo la Germania c’è il Giappone e l’India e poi il Regno Unito). La “malattia” (la rincorsa ad essere a volte più a destra delle destre) rischia di cambiare i connotati a tradizioni politiche europee centenarie: come il laburismo britannico, il popolarismo democristiano tedesco insieme alla socialdemocrazia, sempre in Germania. Pesa, inoltre, un discorso pubblico sempre più contaminato da un lessico guerresco. Che danni può provocare questa “malattia” in due paesi fondamentali del continente europeo? Pubblica ha ospitato la storica Marzia Maccaferri (Queen Mary, University of London) e il giornalista Michael Braun (corrispondente da Roma del berlinese Tageszeitung).

    Pubblica - 03-12-2025

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    Politici, industriali e finanzieri sono concordi nel sostenere la strada del riarmo e della militarizzazione europea: per i finanzieri si tratta di far fruttare i propri fondi rapidamente e in maniera sicura, per gli industriali idem, con fortissime iniezioni di denaro pubblico, non a caso anche quest’anno hanno fatto il record di vendite come registra il Sipri di Stoccolma il più autorevole istituto di ricerca sulla spesa militare nel mondo. Il problema, spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete Pace Disarmo, ricercatore e analista (tra i curatori del libro Europa a mano armata curato con Sbilanciamoci) è che così vince il discorso di guerra. Banalizzante, propagandistico e pericoloso perché sequestra la democrazia: “Il complesso militare industriale ha un pensiero medio lungo strategico. Stanno già intervenendo per togliere le leggi sulla limitazione alla vendita di armi, perché sanno che dovranno vendere questa sovraproduzione da qualche parte, così come fanno entrare capitali esteri nella nostra industria, come i sauditi in Leonardo, perché non siamo noi gli acquirenti di queste armi”. Ascolta l'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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    A come Asia di mercoledì 03/12/2025

    A cura di Diana Santini

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 03-12-2025

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    MILANESI BRAVA GENTE SPECIAL - MATTEO LIUZZI E TOMMASO BERTELLI - presentato da Francesco Tragni

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    L’inquietudine della provincia nel film “Ferine”, in concorso al Noir in Festival

    Trattandosi di un film horror si può raccontare poco. Ferine di Andrea Corsini si sviluppa intorno ad Irene, una donna che desidera una figlia ma nello stesso tempo è costretta a difendersi da chi la ostacola. In seguito a un incidente, la donna va in cerca di sangue per sopravvivere. Il tutto si svolge in un paesaggio vuoto e deprimente: “Cercavo una provincia in cui si respirasse solitudine e isolamento, come la villa di architettura brutalista e il centro commerciale esternamente vuoto. Il cemento da una parte e dall’altra le zone boschive, in cui si scatena l’aspetto selvaggio della storia”. Spiega Corsini, che nel film ha ricreato delle atmosfere che ogni tanto ricordano David Lynch, accompagnate dalla musica di Pino Donaggio: “È sempre stato il mio sogno, ma non avrei mai pensato di riuscirci. Non ho dovuto dirgli quasi niente per arrivare a questo risultato”. Un film prevalentemente femminile, con attrici internazionali che recitano in inglese e in cui gli uomini hanno soltanto parti in secondo piano. L'intervista di Barbara Sorrentini ad Andrea Corsini.

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    Paolo Bergamaschi, già Consigliere Politico Commissione Esteri Parlamento Europeo, analizza lo scontro Europa-Russia, tra minacce e timidi segnali di dialogo. Francesco Vignarca, ricercatore e analista della Rete Pace e Disarmo, racconta l'impatto del piano di riarmo sulla politica dell'Unione, trainato dall'industria e soprattutto dalla finanza. Le mobilitazioni dei lavoratori dell'Ilva non si fermeranno finché i patti non saranno rispettati, perché nessuno comprerà gli stabilimenti se non ci saranno prima degli interventi, come ci spiega Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia della Fiom-Cgil. Giulia Riva giornalista e nostra collaboratrice racconta la giornata internazionale delle persone con disabilità a partire dai dati sul lavoro dove le donne con disabilità sono ancora più penalizzate degli uomini (mentre in Lombardia le aziende preferiscono pagare 82 milioni di multe che assumere persone dalle categorie protette) e poi da atleta paralimpica lancia una sfida alla città di Milano che il lascito delle Olimpiadi invernali in partenza a febbraio sia almeno concretamente utile.

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