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Che sorpresa: lo schiavismo non è innovazione

Oggi se posso vorrei raccontarvi un ricordo personale, una cosa di quattro anni fa, quando lavoravo all’Espresso e lì pubblicammo una delle prime inchieste sulle condizioni dei rider, che allora erano un settore di lavoro tutto nuovo in Italia.

Dopo quell’articolo venne a trovarmi uno dei due amministratori delegati di Foodora, azienda di delivery tedesca che oggi nel nostro Paese esiste più, è confluita in Glovo.

L’amministratore delegato, un trentenne sorridente, è arrivato in redazione accompagnato dal suo addetto stampa e mi ha spiegato che nel nostro pezzo avevamo sbagliato tutto, che non avevamo capito lo spirito della loro impresa. Loro infatti non sfruttavano proprio nessuno ma anzi il contrario: si rivolgevano ai ragazzi che amavano andare in bicicletta e addirittura li pagavano per coltivare il loro hobby, cioè le due ruote.

Insomma, era un accordo “win win”, mi spiegò in aziendalese: Foodora poteva offrire il suo servizio di food delivery, i ragazzi erano contenti perché qualcuno era così gentile da pagarli per andare in bici.

Quindi la mia visione “sindacalizzata” era vecchia e superata di fronte alla gig economy.

L’incontro non finì benissimo, come avrete capito, i colleghi mi presero in giro per due giorni dopo aver sentito – anche a parecchie stanze di distanza – la mia reazione non proprio pacata.

Non ho mai più incontrato quel tizio trentenne, in Italia appunto Foodora non esiste più, vedo su Internet che ora è a capo di un’altra start-up.

Auguri a lui, naturalmente, e niente di personale.

Ma oggi, quattro anni dopo e dopo la liberazione dei ciclofattorini da quella che il procuratore capo di Milano Francesco Greco ha definito “schiavitù”, forse possiamo vedere meglio quale delle due visioni era “vecchia”: quella del cottimo travestito da hobby o quella della tutela dei diritti degli esseri umani, anche e soprattutto al tempo della gig economy.

  • Autore articolo
    Alessandro Gilioli
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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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