Approfondimenti

Che cosa è successo oggi? – Venerdì 12 giugno 2020

Giuseppe Conte

Il racconto della giornata di venerdì 12 giugno 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dai dati dell’epidemia diffusi oggi all’audizione del premier Conte davanti ai pm di Bergamo per la mancata zona rossa nella bassa Val Seriana e la reazione della maggioranza. Il caso Regeni e la vendita di armi all’Egitto e i dati dell’INAIL sulle denunce presentate per contagio da COVID sul posto di lavoro. Infine, i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

I dati dell’epidemia diffusi oggi

Sono 393 i nuovi casi accertati di coronavirus in Italia. L’incremento è superiore a quello registrato ieri, quando i nuovi positivi erano stati 379. Pesa per quasi il 70% il risultato della Lombardia: qui i nuovi casi accertati sono infatti oggi 272.
I decessi a livello nazionale sono stati, nelle ultime 24 ore, 56, dato analogo a quello di ieri. In terapia intensiva si trovano oggi 227 persone, 9 meno di ieri. Sono ancora ricoverate con sintomi 3.893 persone, 238 meno di ieri.
Dopo la Lombardia, le Regioni con il maggior numero di nuovi positivi accertati sono il Piemonte, l’Emilia-Romagna e il Lazio. In quest’ultima Regione pesa il focolaio del San Raffaele di Roma. Nell’ospedale oggi sono stati verificati altri 22 casi, tra operatori e degenti. Complessivamente i contagiati nella struttura sono ora 99, sono morte 5 persone.
In Lombardia intanto l’assessore Gallera ha comunicato i primi risultati dei test sierologici. Sui 161.695 cittadini testati, il 25% è risultato positivo al coronavirus.
Sui 102.239 operatori sanitari che hanno fatto il test la percentuale è del 12,6%.
Oggi sono arrivati anche i risultati del monitoraggio delle Regioni, comunicati al Ministero della Salute e riferiti alla settimana dal primo al 7 giugno.
La sintesi del ministero è: “La criticità resta bassa ma l’epidemia non è finita”. È dunque essenziale, scrive il ministero, “rafforzare le attività di tracciamento dei nuovi casi per identificare precocemente tutti i potenziali focolai”.

Il premier Conte sentito dai pm di Bergamo

(di Lorenza Ghidini)

All’uscita dall’audizione del presidente Lombardo Fontana, qualche giorno fa, la pm Maria Cristina Rota si era fermata a rispondere ai giornalisti e aveva detto di ritenere che la decisione sulla zona rossa sarebbe stata di competenza del Governo. Una frase che aveva fatto sobbalzare molti, soprattutto chi ne conosce lo stile di lavoro. Chi le ha parlato nei giorni seguenti ha trovato una pm seccata per l’uso che di quelle parole è stato fatto, tanto da correggerle pubblicamente oggi all’uscita da Palazzo Chigi.
Il rimpallo di responsabilità tra Regione Lombardia e Governo è tutto da chiarire, e le indagini potrebbero puntare tanto su Conte quanto su Fontana. Per i magistrati si tratta di stabilire se la scelta di tenere aperta la bassa Val Seriana ha fatto aumentare i contagi. Se così fosse, l’ipotesi di reato sarebbe epidemia colposa. Conte oggi ai pm avrebbe ribadito che la Regione aveva facoltà di procedere, come hanno fatto Emilia-Romagna, Lazio e altre. Il Governo però aveva mandato l’esercito e rafforzato la presenza delle forze di Polizia, ma poi decise per la zona arancione.
Conte ne parla come di un provvedimento più esteso ed importante ma di fatto era ben più blando di quello, ad esempio, deciso per Codogno, dove tutti erano chiusi in casa e i carabinieri pattugliavano le strade.
Chi non ricorda il lungo elenco di codici Ateco allegato al dpcm dell’8 marzo? Nella lista delle attività che restavano aperte nella zona arancione c’erano perfino le lavanderie. Un dato rende al meglio l’idea: Codogno, zona rossa, incremento della mortalità del 350%. Val Seriana, zona arancione, incremento della mortalità 700%.
La procura ha nominato un comitato di consulenti scientifici a cui far ricostruire la catena epidemiologica di quelle settimane, in modo da provare ad associare le conseguenze alle decisioni. Dopo le audizioni di oggi si tratta di decidere se la mancata creazione della zona rossa sia da considerare una scelta politica o configuri anche responsabilità penali. In questo secondo caso si porrebbe un ulteriore bivio: continuare a indagare a Bergamo o passare la palla. Al Tribunale dei Ministri, se l’oggetto fosse Conte, a Milano per competenza territoriale se fosse Fontana.

Il messaggio di Conte: andare avanti senza remore

(di Michele Migone)

Le parole della pm e del presidente del consiglio al termine dell’audizione sembrano rassicuranti per il capo del governo, ma nessuno oggi può dire al 100% che Giuseppe Conte abbia scansato le potenziali minacce che l’inchiesta potrebbe procurargli. Lo diranno i magistrati quale sarà il suo destino. Per adesso Conte fa quello che ha sempre fatto. Si affida alla comunicazione di Rocco Casalino per segnare il punto e guardare avanti, nel tentativo di dimostrare di saper veleggiare oltre le sue evidenti debolezze politiche. L’audizione era stata anticipata con un fuoco di fila di interviste ai principali quotidiani. Il post interrogatorio è affidato a una dichiarazione e alla gestione dei retroscena da parte del suo portavoce. Il messaggio è: andare avanti, senza remore. Lo stesso che viene dato sugli Stati Generali. È la grande vetrina di Conte, non del governo.
Il PD è sempre più irritato per quello che membri dell’esecutivo definiscono una “casalinata”. C’è ancora confusione sulla formula e sugli invitati. Dovrebbero essere chiusi ai giornalisti e alle telecamere, ulteriore segnale di un giro di vite sulle notizie da fare filtrare. Conte gioca da solo, forte del fatto che non ci sarebbero alternative a lui.
Il Corriere della Sera scrive che ormai Conte ha un tratto da sovrano e che una leggera megalomania sembra essersi impadronita di lui. Iniziano a pensarlo anche i suoi alleati di governo, soprattutto al Nazareno. Conte dovrà evitare di sbagliare le prossime mosse perché gli estimatori della sua abilità nel navigare sembrano essere sempre meno.

Il caso Regeni e la vendita di armi all’Egitto

(di Alessandro Principe)

Sulla vendita delle navi militari all’Egitto nessun Ministro del governo Conte si è opposto. Le ricostruzioni di stampa non sono state smentite. Il Consiglio dei Ministri di ieri ha dato il via libera alla vendita. Con l’avallo di tutti i componenti del governo. 5 Stelle, Pd, Italia Viva, Leu. Dario Franceschini ha chiesto che Conte prenda una posizione pubblica di richiesta di verità sull’omicidio Regeni. Una posizione netta che dimostri come le due questioni non debbano essere accomunate. Il deputato del Pd Orfini ha annunciato che presenterà una mozione alla direzione del partito.

La vendita delle fregate è un’operazione commerciale, nulla ha a che fare con la ricerca della verità per la morte di Giulio Regeni. Al contrario, soltanto i canali aperti possiamo davvero pensare di ottenere qualcosa dall’Egitto”. Parole di Giuseppe Conte.

Per l’Italia è arrivato il momento di cambiare passo e atteggiamento nei rapporti con l’Egitto. Lo stallo con l’Egitto non è più tollerabile. Per noi la verità sull’omicidio di Giulio è una priorità che non può subire alcuna deroga“. Parole del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Quando l’8 ottobre scorso incontrò alla Farnesina i genitori di Giulio Regeni, Paola e Claudio.

Ci sentiamo traditi dal governo“. Famiglia Regeni, 8 giugno.
Nel 2019 l’Egitto è stato il primo mercato per le armi italiane: l’Italia ne ha esportate verso il Cairo per circa 900 milioni di euro. La commessa di cui si parla ora vale da sola circa 1,2 miliardi: oltre alle 4 fregate Fremm ci sono 20 pattugliatori e 24 caccia eurofighter.

L’inchiesta sull’omicidio Regeni intanto non fa passi avanti. L’ultima rogatoria risale a un anno fa. La procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati 5 agenti dei servizi del Cairo ma senza una vera cooperazione giudiziaria con queste indagini sono a un punto morto.

Vendere armi all’Egitto è un’ombra grave. E non solo per Giulio Regeni. Il regime di Al Sisi, denunciano tutte le organizzazioni per i diritti umani, a partire da Amnesty, perseguita sistematicamente attivisti politici e giornalisti. Ricordiamo il ricercatore dell’università di Bologna Patrick Zaki, ancora in carcere. Gli affari, la realpolitik non possono venire prima dei diritti umani.

Inail, le denunce presentate per contagio da COVID sul posto di lavoro

(di Massimo Alberti)

L’INAIL ha diffuso oggi i nuovi dati sulle denunce presentate per contagio da COVID sui luoghi di lavoro. Dopo la fine del lockdown, tra il 15 e il 31 maggio, sono state 3.600, circa il 42% dei contagi totali. Ma il dato più preoccupante arriva ancora dal settore sanitario. Nonostante gli appelli, le denunce, le misure di sicurezza arrivate seppur in ritardo, le strutture sanitarie restano infatti il luogo dove chi lavora ha il più alto rischio di contrarre il COVID.
Nelle ultime due settimane di maggio oltre 8 su 10 denunce per COVID giunte all’Inail arrivano proprio da chi lavora in sanità. Ancor più preoccupante, è una percentuale che aumenta: fino al 15 maggio erano 7 su 10. A maggio in pratica il 35% dei contagi totali è avvenuto in una struttura sanitaria. Dall’inizio dell’epidemia le denunce sono state 47.000.
Dopo la sanità, altro dato preoccupante, l’amministrazione pubblica è stato il settore più colpito col 9% delle denunce. Seguono call center, pulizia, manifattura, insomma tutti quei settori dove si lavora a stretto contatto. Dalla Lombardia arriva il 45% delle denunce, Bergamo la prima città. I dati Inail non possono però dare un quadro reale di quante persone hanno preso il COVID lavorando. Di fatto è impossibile dirlo, non solo per il problema generale dei pochi tamponi: non tutti i settori lavorativi, infatti rientrano nell’assicurazione Inail, e non tutti gli infortuni vengono denunciati.
Quanti, inoltre, si sono ammalati in itinere, ovvero recandosi al lavoro sui mezzi pubblici? Il dato Inail quindi è largamente sottostimato. E se da un lato evidenzia le carenze sulla sicurezza da parte dei datori di lavoro, dall’altra fa solo intuire quanti malati – a loro volta veicoli di contagio – e morti si sarebbero evitati chiudendo aziende non essenziali. Se infatti la sanità conta 7 denunce di infortunio su 10, la proporzione si inverte coi morti: 7 vittime su 10 contagiate sul luogo di lavoro, operavano in settori non sanitari.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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