Approfondimenti

Che cosa è successo oggi? – Giovedì 10 dicembre 2020

Natale COVID DPCM

Il racconto della giornata di giovedì 10 dicembre 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dai dati dell’epidemia in Italia al governo che sarebbe pronto a fare un passo indietro sugli spostamenti tra Comuni il giorno di Natale, mentre l’ultimo rapporto della Fondazione Gimbe annuncia la tempesta perfetta che potrà portare alla terza ondata della pandemia. La Procura di Roma ha chiuso le indagini sull’omicidio di Giulio Regeni. Commozione e tanti ricordi da tutto il Mondo del calcio, ma non solo, per la prematura scomparsa di Paolo Rossi. Il 15 dicembre la Francia uscirà dal lockdown, ma lo farà seguendo delle regole più rigide del previsto. Infine, i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

I dati dell’epidemia diffusi oggi

(di Diana Santini)

La decisione, o comunque l’ipotesi un ripensamento sulle restrizioni sotto Natale, arriva nel giorno in cui si registra un nuovo picco di decessi: 887, come riferito dal bollettino quotidiano del Ministero della Salute. Gli altri parametri, però, sono buoni: 17mila nuovi casi con un tasso di positività sotto al 10%, calo del numero di ricoverati e terapie intensive, la soglia del milione di guariti da inizio pandemia superata.
Il lento miglioramento degli ultimi giorni è rilevato anche dal monitoraggio settimanale del Gimbe, pubblicato oggi, che conferma il calo della pressione sugli ospedali e una lieve flessione del numero dei decessi. Altri parametri sono meno incoraggianti, come la sostanziale stabilità del rapporto tra positivi e tamponi. E anche la diminuzione del numero dei casi totali, spiega ancora il Gimbe, non è significativa: è infatti un effetto diretto della diminuzione del numero dei tamponi.

Il governo pronto ad un passo indietro sugli spostamenti a Natale

(di Anna Bredice)

Sembra la vittoria di tutti, ad eccezione di Conte e del ministro Speranza. La linea di rigore sulle regole per Natale tenuta finora, oggi cede sul tema degli spostamenti tra comuni nei giorni di festa, il 25, 26 dicembre e primo gennaio e tutti i gruppi politici, di maggioranza e opposizione, ad eccezione di Leu, se ne prendono il merito, come se fosse un punto a loro favore e una sconfitta per Conte, il giorno dopo il dibattito al Senato, dove pubblicamente Renzi ha voluto ridimensionare il potere del Presidente del Consiglio sul tema del Recovery Fund. Dal giorno dopo l’approvazione del Dpcm, la regola del divieto di spostamenti tra comuni era apparsa stretta a molti, la Lega e il partito di Giorgia Meloni ne hanno fatto una battaglia politica dall’inizio, ma anche il Pd, Cinque stelle e Renzi lo avevano chiesto, soprattutto per i comuni più piccoli, per la disparità che avrebbe creato nei confronti delle città più grandi, nei piccoli paesi infatti potrebbe accadere che nel giro di poche decine di metri si passi da un comune all’altro. Dietro la pressione dei gruppi al Senato, Palazzo Chigi ha accolto la richiesta e ora c’è solo da capire se la possibilità di spostarsi rientrerà in una delle varie FAQ di chiarimento collegate al decreto già approvato, come se fosse un allegato in più, senza dover fare un nuovo decreto. Ma il Senato, soprattutto i gruppi di centrodestra, non si accontenta di un via libera che passerebbe in tono minore, vuole approvare una mozione la prossima settimana, risalterà di più un dissenso nei confronti di Conte e della sua linea, che per il centrodestra e anche per alcuni gruppi di maggioranza, è stata decisa nelle stanze di Palazzo Chigi, senza molti confronti. Un primo segno di richiesta di cambiamento di linea, si vedrà se accettato anche da Conte.

L’allarme della Fondazione Gimbe sulla terza ondata della pandemia

(di Michele Migone)

La Fondazione Gimbe annuncia la tempesta perfetta che può portare alla terza ondata. Tutta l’Italia in fascia gialla, un allentamento delle restrizioni, il virus che galoppa ancora, una drastica diminuzione dei tamponi.
Gli elementi combinati che determineranno dei mesi di gennaio e febbraio molto difficili e dolorosi.
Quello della Fondazione è solo l’ultimo degli allarmi lanciati in queste settimane. Non c’è virologo che non sia sicuro della terza ondata. Il Paese sembra un treno che corre verso l’ennesimo burrone. Con indifferenza sembra aver accettato come ineluttabile l’impressionante numero di morti quotidiano, scordandosi, o nascondendosi, che invece sono in discreta parte il frutto della scelta di far prevalere l’economia sulla salute, di ritardi ed errori di gestione dell’epidemia oltre che di comportamenti individuali, a volte, rischiosi.
Un velo di rimozione è calato su quella parte del paese che affronta il Covid. Una patina di ipocrisia accompagna la scelta di riaprire le regioni senza neppure sapere quanto sia diffuso il virus visto che i sistemi di tracciamento non funzionano.
Il silenzio sempre più forte da parte della politica sulle vittime, la negazione degli errori commessi, il jogging dell’assessore in sfregio alle norme, le cose promesse e non ancora fatte, danno il senso della mancanza di coordinate. Che invece ritroviamo altrove. Angela Merkel ha detto che ritiene inaccettabile il prezzo di vittime che la Germania sta pagando e ha annunciato restrizioni. Avrà fatto i suoi errori, ma apparentemente sembra aver capito che si deve cambiare rotta. Davanti al Bundestag si è emozionata: ha dato umanità alla politica e dignità alle vittime. Per una volta, in un discorso ufficiale, non sono sembrate solo numeri.

Recovery Fund, in corso a Bruxelles il Consiglio Europeo

A Bruxelles è in corso il Consiglio Europeo che ha come principale punto all’ordine del giorno il Recovery Fund, il fondo da distribuire agli stati in difficoltà a causa del Covid. Fino ad ora l’accordo dei 27 capi di governo era stato bloccato da due paesi sovranisti, l’Ungheria e la Polonia, che avevano posto il veto sul meccanismo che lega l’arrivo dei soldi al rispetto dei diritti fondamentali, come libertà di stampa, indipendenza della magistratura. Ma tra questa sera o domani potrebbe essere raggiunto un nuovo accordo, il cui pilastro è la controversa mediazione tessuta dalla Germania: Varsavia e Budapest toglieranno il veto, in cambio il meccanismo sullo stato di diritto sarà posticipato di un anno. In questo modo tutti i paesi, Ungheria e Polonia compresi, potranno accedere ai fondi senza essere vincolati al rispetto dei principi democratici indicati dai trattati europei, almeno per un anno.
In queste ore al tavolo di Bruxelles, toccherà ai diversi governi esprimersi sulla bozza d’accordo.
A difendere il compromesso che ha costruito è soprattutto la cancelliera tedesca Merkel, che fa parte del PPE così come il capo del governo di Budapest Viktor Orban. Per il quale l’accordo è un grosso regalo in vista del voto dell’anno prossimo in Ungheria. E aggira l’indicazione del Parlamento europeo, che aveva chiesto e ottenuto un regolamento che legasse i fondi Ue al rispetto dei principi democratici dell’Unione. Per queste ragioni la Copresidente dei verdi europei Monica Frassoni parla di un cedimento ad Orban da parte dell’Europa.

Caso Regeni, la Procura di Roma chiude le indagini

(di Luigi Ambrosio)

La ricostruzione dei magistrati italiani è ampia, si conoscono i nomi di quattro persone, quattro agenti dei servizi di sicurezza egiziani, implicate nel rapimento, nella tortura e nell’assassinio di Giulio Regeni. Si sa quando, dove e in che modo.
Una verità ancora incompleta visto che per altre 13 persone non si è potuto procedere a causa della mancata collaborazione egiziana. Una verità comunque sufficiente per togliere alla politica italiana ogni timidezza.
Cosa abbiamo fatto in questi anni?
Il Governo Renzi, in carica quando scoppiò il caso Regeni, ritirò l’ambasciatore italiano.
Un gesto spettacolare che però non cambiò la sostanza delle relazioni tra Italia ed Egitto.
Durante il Governo Gentiloni, poi, l’ambasciatore tornò al suo posto. Dopo le elezioni del 2018, coi governi Conte 1 e Conte 2, i rapporti tra i due paesi sono continuati senza scossoni e nel generale silenzio. Di recente, l’Italia ha concluso ottimi affari nel campo della fornitura di armi al regime di Al Sisi. Il pezzo forte sono due navi militari del valore di un miliardo e 200 milioni di euro. E’ un regime, quello egiziano, dove secondo Amnesty International e altre organizzazioni non governative ogni anno centinaia di persone subiscono torture, vengono uccise, spariscono nel nulla.
Ora, il governo si trova di fronte a un bivio.
Il padre di Giulio Regeni ha detto di non avere motivi per non sentirsi più tradito dallo Stato. E la madre chiede: “Conte e Di Maio, cosa state facendo per la verità?” Una domanda che, a questo punto, non può più essere elusa.

Il mondo del calcio (e non solo) ricorda Paolo Rossi

Commozione e tanti ricordi da tutto il mondo del calcio, ma non solo. Paolo Rossi è stato il bomber della Nazionale dei Mondiali dell’82, il pallone d’oro, il campione del Vicenza e della Juventus. Ma rappresenta anche un momento in cui l’Italia si ritrovò a festeggiare per la clamorosa, inaspettata vittoria del mondiale. La gioia per un Paese. L’estate del 1982, con il presidente Pertini a esultare in tribuna e a giocare a carte con i calciatori sull’aereo del ritorno.
E Paolo Rossi che – dopo i momenti bui dello scandalo del calcio scommesse – trascinò la Nazionale alla vittoria. 3 al Brasile, 2 alla Polonia, uno alla Germania nella finalissima.
Oggi c’è stata la camera ardente all’ospedale di Siena dove era ricoverato per un tumore. Aveva 64 anni. L’annuncio della morte è stato dato dalla moglie Federica Cappelletti. Sono andati in tanti per l’ultimo saluto. Quelli che lo conoscevano ne parlano come di una persona gentile, corretta, modesta e mai sopra le righe.
In quell’estate dell’82 era l’emblema dell’Italia che si riscatta e l’idolo di milioni di ragazzini.

Nella telecronaca di Nando Martellini i tre goal memorabili di Italia Brasile:

Quella partita è nella storia e nell’immaginario collettivo non solo sportivo.
Il drammaturgo Davide Enia ne ha fatto una rappresentazione teatrale: Italia-Brasile 3 a 2.


 

La Francia uscirà dal lockdown con regole più ridige

(di Luisa Nannipieri)

Il 15 dicembre la Francia uscirà dal lockdown, ma lo farà seguendo delle regole più rigide del previsto. Lo ha annunciato questa sera il primo ministro facendo il punto settimanale sull’epidemia. Il coprifuoco, che rimpiazza il confinamento, inizierà alle 20 anziché alle 21, gli spostamenti dovranno limitarsi a dei motivi di necessità e ci vorrà l’autocertificazione. La misura sarà mantenuta anche la notte di capodanno, che nei piani iniziali sarebbe dovuta sfuggire al coprifuoco, per evitare feste e assembramenti. A Natale, invece, il primo ministro ha confermato che non sono previste limitazioni. Cinema, musei e stadi, che si erano preparati a riaccogliere il pubblico, rimarranno chiusi almeno fino al 7 gennaio e i luoghi di culto non potranno accogliere più fedeli di oggi.
A quindici giorni da Natale le parole di Jean Castex sono una doccia fredda per i Francesi che tirano però un sospiro di sollievo: ci si potrà spostare su tutto il territorio nazionale e raggiungere i parenti per le feste. Negli ultimi giorni, la speranza aveva lasciato il posto all’inquietudine e si erano moltiplicate le voci di una possibile marcia indietro sul “liberi tutti” previsto dal governo per il periodo natalizio. In causa, il numero di nuovi contagi giornalieri, che era diminuito rapidamente con il lockdown, passando dai 60 mila del picco di inizio novembre a 12 mila alla fine del mese. Ma che da allora non accenna a scendere, anzi, la curva risale leggermente. Se la buona notizia è che il temuto plateau si è stabilizzato a un livello relativamente basso, tra i 10 mila e i 13 mila nuovi casi giornalieri, e che il numero di pazienti in rianimazione continua a diminuire, quella cattiva è che è ormai impossibile che scenda sotto la soglia dei 5 mila, uno degli obiettivi fissati da Macron per uscire dal confinamento. Secondo il ministro della salute, questa situazione non è dovuta solo all’allentamento del lockdown dal 28 novembre ma anche a un minore rispetto delle misure di sicurezza da parte della popolazione e dal calo delle temperature, che spinge a ritrovarsi in spazi chiusi e meno ventilati.
La decisione del governo di adattare la strategia del deconfinamento si basa più su un calcolo politico che sui consigli degli epidemiologi, che negli ultimi giorni hanno preso la parola per chiedere di mantenere il lockdown anche a Natale e capodanno per evitare una ripresa dell’epidemia dopo le feste. Impedire ai Francesi di spostarsi e ritrovarsi, avrebbe avuto un impatto catastrofico sul loro morale, dopo che avevano anticipato il deconfinamento per settimane. E avrebbe pesato ancora di più su dei settori economici duramente colpiti dalla crisi, per cui il periodo natalizio è una boccata d’ossigeno. Meglio, insomma, chiedere al settore culturale di sacrificarsi ancora per qualche tempo e mettere l’accento sulla responsabilità individuale, pur di “proteggere il Natale”.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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    Le proteste arrivano anche nei fast food: lo sciopero nei McDonald's di Orio Center

    La mobilitazione di lavoratrici e lavoratori di McDonald’s proseguirà anche nei punti vendita gestiti da affiliati, se l’azienda continuerà a rifiutare di aprire un tavolo di trattativa per il contratto integrativo aziendale. Lo dicono i sindacati, che lo scorso fine settimana hanno indetto uno sciopero di otto ore per i dipendenti diretti di Mc Donald's Italia. L’azienda sostiene che – con il 92% dei ristoranti gestito da affiliati – non sarebbe dovuto un integrativo per i pochi punti vendita diretti, che in Italia sono solo 60 su 740. A Bergamo, dove McDonald’s ne gestisce direttamente due all’interno del centro commerciale Orio Center, con più di 70 dipendenti, hanno aderito in tante e tanti. Daria Locatelli di Filcams CGIL Bergamo ha seguito la vicenda.

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    Nella puntata dell'Orizzonte delle Venti del 29 aprile 2025, condotta da Luigi Ambrosio, torniamo al blackout che ha lasciato senza energia elettrica Spagna e Portogallo. È partito l'attacco alle rinnovabili, un attacco interessato, mentre i gestori della rete escludono un episodio di guerra ibrida. Ma resta la domanda: perché due episodi anomali in pochi minuti? Il blackout iberico ci dice quanto le reti da cui dipendiamo, elettriche ed informatiche, siano a rischio. È un problema economico e strategico. Forse non si è trattato di guerra ibrida questa volta, ma ora sappiamo quanto il rischio sia reale. Ne discutiamo con Lorenzo Tecleme, giornalista che vive e lavora in Spagna; Gianluca Ruggeri, professore all'Università dell'Insubria, ingegnere ambientale, Marco Schiaffino, esperto informatico.

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