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Caso McKinsey, il più opaco dei chiarimenti

Finalmente si è rotto il muro di silenzio sulla cosiddetta “consulenza” di McKinsey per riscrivere il Recovery plan e il Ministero dell’economia ha ammesso l’ingresso della multinazionale americana negli uffici di via XX settembre.

Ovviamente il ministero minimizza, ma il suo comunicato non chiarisce un bel niente.

Ad esempio: perché l’esistenza di un contratto con McKinsey per la gestione del Recovery Plan è stata resa nota solo dopo che Radio Popolare ne ha dato notizie e altre testate (tra cui il Fatto) l’hanno ripresa? In altre parole, perché l’esistenza di questo contratto è stata tenuta segreta? Non era il caso, prima di far entrare i tecnici di McKinsey, di avvertire l’opinione pubblica e soprattutto il Parlamento, nelle sue commissioni economiche?

È consapevole il Ministero dell’economia delle inchieste e degli scandali in cui è stata coinvolta la società di consulenza McKinsey a livello mondiale, a iniziare dalla vicenda degli oppioidi negli Usa e dalla questione dei dissidenti sauditi arrestati?

È consapevole il ministero dell’economia che McKinsey non è una società di consulenza politicamente neutrale ma da decenni portatrice di un pensiero e di una prassi ispirata al neoliberismo più duro?

E poi: è ormai acclarato che la scadenza del 30 aprile per l’invio del piano in Europa allo stato delle cose non può essere rispettata. Il Mministero dell’economia può garantire che l’emergenza e la fretta non verranno usate come alibi per appaltare direttamente tutto il Recovery Plan a McKinsey?

E ancora: La parcella di McKinsey è poco più che simbolica. Il che tuttavia anziché ridurre i dubbi li fa crescere: perché McKinsey ha accettato di mandare i suoi tecnici per una cifra irrisoria se non per influenzare le decisioni politiche sul Recovery Plan ed entrare nella cabina di regia?

A queste domande non è stata data risposta. Noi, con voi, le aspettiamo.

  • Autore articolo
    Alessandro Gilioli
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