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Caso McKinsey, il più opaco dei chiarimenti

Finalmente si è rotto il muro di silenzio sulla cosiddetta “consulenza” di McKinsey per riscrivere il Recovery plan e il Ministero dell’economia ha ammesso l’ingresso della multinazionale americana negli uffici di via XX settembre.

Ovviamente il ministero minimizza, ma il suo comunicato non chiarisce un bel niente.

Ad esempio: perché l’esistenza di un contratto con McKinsey per la gestione del Recovery Plan è stata resa nota solo dopo che Radio Popolare ne ha dato notizie e altre testate (tra cui il Fatto) l’hanno ripresa? In altre parole, perché l’esistenza di questo contratto è stata tenuta segreta? Non era il caso, prima di far entrare i tecnici di McKinsey, di avvertire l’opinione pubblica e soprattutto il Parlamento, nelle sue commissioni economiche?

È consapevole il Ministero dell’economia delle inchieste e degli scandali in cui è stata coinvolta la società di consulenza McKinsey a livello mondiale, a iniziare dalla vicenda degli oppioidi negli Usa e dalla questione dei dissidenti sauditi arrestati?

È consapevole il ministero dell’economia che McKinsey non è una società di consulenza politicamente neutrale ma da decenni portatrice di un pensiero e di una prassi ispirata al neoliberismo più duro?

E poi: è ormai acclarato che la scadenza del 30 aprile per l’invio del piano in Europa allo stato delle cose non può essere rispettata. Il Mministero dell’economia può garantire che l’emergenza e la fretta non verranno usate come alibi per appaltare direttamente tutto il Recovery Plan a McKinsey?

E ancora: La parcella di McKinsey è poco più che simbolica. Il che tuttavia anziché ridurre i dubbi li fa crescere: perché McKinsey ha accettato di mandare i suoi tecnici per una cifra irrisoria se non per influenzare le decisioni politiche sul Recovery Plan ed entrare nella cabina di regia?

A queste domande non è stata data risposta. Noi, con voi, le aspettiamo.

  • Autore articolo
    Alessandro Gilioli
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    L’ONU lancia l’allarme per Gaza: “Servono più aiuti”. Ma il valico di Rafah resta chiuso

    A Gaza resta in vigore il fragile cessate il fuoco concordato a Sharm el Cheik, ma l’intesa tra Hamas e Israele è costantemente minacciata da accuse reciproche di violazione degli accordi. Al centro delle tensioni con il governo di Tel Aviv ci sono soprattutto i 19 corpi degli ostaggi non ancora restituiti dai miliziani, e il disarmo dell’organizzazione palestinese. Hamas da parte sua accusa Israele di violare la tregua e denuncia che sui corpi dei palestinesi morti in carcere e riconsegnati da Tel Aviv ci sono evidenti segni di tortura. Resta grave la situazione umanitaria: le agenzie Onu affermano che nella Striscia entra una quantità ancora troppo esigua di aiuti umanitari, mentre l’organizzazione mondiale della sanità parla di una diffusione incontrollata delle malattie infettive. Intanto il valico di Rafah resta chiuso. Giovanna Fotìa, dell’Ong WeWorld, è la responsabile dei progetti per la Palestina.

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