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Casa delle donne a rischio sfratto

“La casa siamo noi”. Questa è la frase che si legge su uno striscione rosa nella grande sala, ma non abbastanza grande da contenere tutte le donne che sono arrivate per un’assemblea pubblica alla Casa Internazionale delle donne.

Un luogo simbolo del femminismo a Roma, conosciuto in tutta Italia, per la sua storia, per il suo lavoro di promozione dei diritti, della cultura, dei saperi prodotti dalle donne, per l’assistenza sanitaria e legale alle donne, svolta gratuitamente, e il prezioso centro di documentazione sulle politiche femminili in Italia.
Il centro, in via della Lungara, sul lungotevere, è a rischio sfratto: “Una doccia fredda – dice la presidente Francesca Koch – la giunta Raggi ci ha intimato di pagare entro un mese un debito pregresso, ma in questi ultimi anni era in corso un dialogo per trovare una soluzione che tenesse conto soprattutto del valore dei servizi resi dalla Casa delle donne”.
Entro un mese, in sostanza, si devono pagare oltre 800mila euro di affitti arretrati, che per il centro è stato, e sarà impossibile pagare anche a causa della crisi economica che ha ridotto notevolmente le uniche entrate commerciali della Casa: la foresteria e il ristorante, a prezzi molto contenuti, quest’ultimo aperto su un bellissimo cortile del complesso monumentale del Buon Pastore.
La storia di questo luogo è già una storia a sé: fin dal ‘600 era un reclusorio femminile, era cioè il carcere minorile e femminile, tanto che la strada accanto all’edificio si chiama “Via delle penitenze”.
Abbandonato agli inizi degli anni ’80, le donne sfrattate da un altro luogo simbolo delle battaglie femministe, il centro in via del Governo Vecchio, trovano qui un riferimento dove continuare le loro attività, fondamentali in quegli anni.
Conteso anche dal Vaticano, le donne per circa 15 anni occupano il complesso e continuano ad incontrarsi e a svolgere il loro lavoro, fino a quando la giunta Rutelli firma un contratto con la Casa Internazionale delle donne, a quel punto costituita in un consorzio di associazioni e riconosciuta ufficialmente. Sono una quarantina le associazioni che hanno il loro punto di riferimento nell’edificio in via della Lungara, tra queste anche la Di.re, Donne in rete contro le violenze, in prima fila per il contrasto alla violenza sulle donne, “si stava svolgendo proprio un corso di formazione tenuto dall’associazione il giorno in cui è arrivata la lettera dell’amministrazione comunale”, racconta Francesca Koch.
Ma la Casa delle donne di Roma non è solo sede di associazioni, svolge un servizio fondamentale di assistenza medica e legale, completamente gratuita, di sostegno e accoglienza alle donne in difficoltà, orientamento per la formazione di imprenditoria femminile, artigianato, iniziative culturali con un centro congressi, un archivio tra i più ricchi sulla storia del femminismo a partire dagli anni ’60.
Una serie di attività lungo tutto l’anno che il Comune ha quantificato, come valore economico in circa 700 mila euro.
Ed è proprio questo ciò che le donne della Casa vorrebbero che venisse considerato nella ricerca di una soluzione a questa ingiunzione di pagamento che è in sostanza un avviso di sfratto: “In questi anni, già durante la giunta Marino, – spiega ancora Francesca Koch – per affrontare il debito dell’affitto arretrato abbiamo proposto tre punti per un accordo condiviso: il  prolungamento della convenzione con il Comune, l’abbattimento dell’affitto, da calcolarsi solo per gli spazi commerciali, e cioè la foresteria e il ristorante e invece l’uso a titolo gratuito degli altri spazi, perché di servizio alla comunità, calcolando di conseguenza il valore economico di questi servizi sociali”.
La trattativa si è interrotta bruscamente poche settimana fa con la richiesta di pagamento.
E’ un modo di operare della giunta attuale che si è verificato anche in altri contesti, spazi comunali gestiti da associazioni con un evidente risultato di utilità sociale improvvisamente chiusi o impossibilitati ad operare perché costretti a pagare affitti calcolati da un certo momento in poi sui valori di mercato: per strada realtà note come la scuola di musica di Testaccio fondata da Giovanna Marini oppure l’asilo multiculturale “Il Celio azzurro”, decine di associazioni sfrattate da un giorno all’altro.
C’è stata molta solidarietà verso la battaglia intrapresa dalla Casa delle donne a Roma, appoggio sia istituzionale che di centinaia di associazioni o centri antiviolenza in tutta Italia.
Le donne sperano di poter arrivare ad un accordo e hanno invitato la sindaca Raggi a visitare la loro Casa, “spero che accetti l’invito – dice la presidente della Casa, per capire il lavoro che svolgiamo quotidianamente e la sua utilità.”
  • Autore articolo
    Anna Bredice
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    L’Europa e il bellicismo crescente delle sue classi dirigenti. L’ultimo caso, quello dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e la postura aggressiva che dovrebbe tenere la Nato. Cosa possono fare il pensiero e la cultura della pace per contrastare l’escalation bellicista e la normalizzazione della violenza? Le risposte possono non essere quelle consuete, soprattutto perché in Occidente stiamo assistendo ad un cambio delle coordinate geopolitiche costruite negli ultimi ottant’anni. Un esempio. Il settimanale «The Economist» ha scritto nella sua rubrica di geopolitica «The Telegram» apparsa oggi sulle pagine online: «In Europa le preoccupazioni per l’inaffidabilità dell’America sotto Donald Trump stanno lasciando il posto a un timore più grande: che, pur presentandosi come il campione della civiltà occidentale, egli consideri ormai le democrazie occidentali reali come avversarie. “Nella Washington di oggi” - scrive il nostro editorialista di The Telegram - l’Europa “è spesso descritta con maggiore disprezzo rispetto alla Cina o alla Russia”. Pubblica oggi ha ospitato Donatella Della Porta, scienziata della politica, e Agostino Giovagnoli, storico.

    Pubblica - 04-12-2025

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    Nell'ultima puntata di 37e2 abbiamo letto la lettera di una persona che ha lavorato come in un Cpr, Centro di permanenza per il rimpatrio, e che con molta amarezza ha deciso di abbandonare il lavoro. La lettera ci è arrivata attraverso la Rete Mai più lager - No ai Cpr con cui siamo in contatto per raccontarvi cosa accade nei Cpr.

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