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Captagon, la droga dei jihadisti

A puntare l’attenzione sul captagon, un anfetaminico che si assume via orale o via vena, sono stati innanzitutto i sequestri di pasticche: nel 2013 11 tonnellate nella sola Siria. Poche settimane fa, anche un jet privato di uno sceicco saudita in Libano con due tonnellate di captagon a bordo. Pasticche sono state ritrovate addosso ai miliziani dell’Isis uccisi dai curdi a Kobane. E poi le autopsie, come quella sul corpo di Seifeddine Rezgui, uno degli autori della strage sulla spiaggia di Sousse, in Tunisia, il 26 giugno scorso: dagli esami tossicologici sul suo corpo sono emerse tracce della sostanza.

Il captagon è un anfetaminico: fa scomparire la fatica e diminuisce paura e dolore. Sintetizzato in Germania negli anni cinquanta, oggi in Europa è fuorilegge. Il Libano era il maggiore produttore fino al 2013 quando è stato superato dalla Siria. Tra i maggiori consumatori c’è l’Arabia Saudita, dove secondo un rapporto del 2013 dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga, l’Unodc, ogni anno vengono assunte oltre 55 milioni di pillole, cifra che rappresenta il 10% delle pillole che circolano nel Paese.

Per chi lo vende, come i vertici dell’Isis, il captagon è diventato una importante fonte di reddito per comprare armi e finanziare la guerra, per i miliziani un alleato e un aiuto per affrontare le azioni militari.

Produrre Captagon è relativamente semplice ed economico: una pasticca la si trova sul mercato attorno ai 5 euro e viene prodotto in laboratorio.

Viene assunto generalmente per via orale, ma per accelerarne gli effetti e renderli più intensi lo si può assumere anche in vena: è l’ipotesi fatta per gli attentatori di Parigi dopo il ritrovamento di siringhe nella camera d’albergo dove ha alloggiato Abdelhamid Abaaoud.

Il post assunzione, il down, è quello tipico degli anfetaminici: stanchezza, ansia, depressione e voglia di assumere nuovamente la sostanza.

 

Per capire meglio cos’è il captagon, come si produce, i suoi effetti, abbiamo intervistato Luigi Cervo, professore del dipartimento di neuroscienze dell’istituto Mario Negri di Milano:

Luigi Cervo istituto Mario Negri

  • Autore articolo
    Roberto Maggioni
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    Violenza stradale, numeri un po' in calo. Il rimedio: l’educazione e diminuire la velocità

    L’Istat ha pubblicato i report sugli scontri stradali, su base regionale (relativi al 2024) e anche alcuni dati sui primi sei mesi di quest’anno. Ci sono meno feriti e meno vittime sulle strade, anche se i numeri restano ancora drammaticamente elevati. Secondo l’Istituto di Statistica nel primo semestre del 2025 i morti sono stati 1310 (si parla di morti per scontri stradali se il decesso avviene entro 30 giorni dall’evento, quindi sono escluse le persone che muoiono, nonostante la causa siano le conseguenze dello scontro, oltre quel limite temporale) contro i 1406 dello stesso periodo dell’anno precedente. I feriti sono stati 111090, anche in questo caso in calo rispetto al 2024, quando erano stati 112428. Gli obiettivi europei sulla sicurezza stradale prevedono il dimezzamento del numero di vittime e feriti gravi entro il 2030 rispetto all’anno di riferimento, che è il 2019. In Italia al momento registriamo una diminuzione del 4,5% (in Lombardia del 12,6). Bisogna ancora fare molto per riuscire a raggiungere l’obiettivo. Uno degli aspetti fondamentali, oltre la diminuzione della velocità, è l’incremento dell’educazione stradale. Stefano Guarnieri, padre di Lorenzo, morto nel 2010 a causa di un omicidio stradale a Firenze ha fondato l’associazione Lorenzo Guarnieri, che da anni si impegna a portare avanti un discorso di educazione. Alessandro Braga lo ha intervistato nella trasmissione Tutto Scorre.

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