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Brexit, l’Europa con il fiato sospeso

Il  momento è storico, sia che vinca il “sì” per restare in Europa sia che, alla fine, la spunti il “no”, per prendere il largo e tornare a essere solo Gran Bretagna. O forse, solo Inghilterra.

In Europa c’è chi tifa per il sì perchè è legato all’idea di un’Europa unita o anche solo perché vuol continuare a fare affari con Londra. Poi c’è chi ama l’Europa, ma tifa perché gli inglesi se ne vadano. Almeno ci toglieremo di mezzo questi inglesi che per 60 anni hanno sempre chiesto deroghe, freni, eccezioni. Ora si potrà infine provare a rifare quest’Europa che non funziona più. Il voto di oggi sembra comunque un punto di non ritorno. Si creeranno due, tre gruppi di Paesi: chi vuol andare più lontano, chi si accontenta di un grande mercato unico, chi non ne può più di lacci e lacciuoli che vangono da Bruxelles e preferisce tornare alla dimensione nazionale.

Se vince il sì Cameron sarà il primo leader europeo ad avere vinto un referendum sull’Europa e chiederà ancora tante e tante riforme e deroghe per il suo Paese. Se vince il no tutto diventa molto complicato.

Tutti gli scenari dopo la Brexit.

Londra dovrà negoziare due volte con Bruxelles. Prima la sua uscita: l’articolo 50 del Trattato di Lisbona prevede due anni per preparare l’uscita di un Paese dall’Unione europea, che ne faccia richiesta. Uscire da 60 anni di leggi e giurisprudenza europea.

Un accordo di libero scambio

Poi una volta fuori potranno cominciare a costruire una nuova relazione con Bruxelles. Ma quale? Un trattato di libero scambio come quello appena firmato con il Canada? Ci sono voluti dieci anni di negoziati per arrivare al traguardo. Oppure un’Unione doganiera come quella che esiste con la Turchia? Possibile? Londra sarebbe un Paese terzo che discute con l’Europa standone fuori, non parteciperebbe alle riunioni, si siederebbe al tavolo di volta in volta, secondo i vari capitoli.

La Brexit aprirebbe la porta a tutti gli euroscetticismi e nazionalismi galoppanti in Europa

Questo è possibile, già Geert Wilders in testa nei sondaggi in Olanda ha chiesto un referendum per l’uscita dei Paesi Bassi nell’Unione. Poi c’è Marine Le Pen in agguato, le elezioni presidenziali in Francia si tengono tra un anno. Hollande trema. E poi ci sono i Paesi dell’est, così “eurofili” quando si trattava di ricevere soldi a palate per ricostruire le loro autostrade o i loro ponti e così poco comunitari oggi con i rifugiati, con la Grecia, con il vecchio progetto europeo della solidarietà.

Un buon elettrochoc

Però forse il voto nel Regno Unito sarà quell’elettrochoc di cui quest’Unione stanca, apatica, priva ormai di un progetto comune avrebbe bisogno per ripartire o comunque provare a cambiare. Ma abbiamo i leader giusti per sapere raccogliere questa sfida? Hollande e Merkel attendono le elezioni nei loro Paesi l’anno prossimo, sono due leader molto indeboliti al loro interno. L’esito delle elezioni in Spagna è ancorra incerto. Chi ha interesse a farsi paladino di un’Europa solidale, amica in teoria, eppure ancora ispirata alle regole dell’austerità che non ha risolto la crisi greca e tiene questo continente in uno stato di apatia con 25 milioni di disoccupati? I britannici oggi sono chiamati a scegliere, domani toccherà agli europei chiedersi da che parte stanno.

  • Autore articolo
    Maria Maggiore
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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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