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Birmania, a un anno dal colpo di stato la piazza sfida la giunta militare

Proteste contro la in Birmania

Sono tornati a manifestare contro la giunta militare oggi i birmani; “la rivoluzione deve vincere” e “democrazia” gli slogan gridati per le strade. Le proteste palesi però sono state poche e poco partecipate, quella di oggi è stata soprattutto una giornata di scioperi silenziosi: i cittadini si sono fermati in strada, in piedi o seduti, facendo il saluto con tre dita in segno di resistenza. Commercianti ed esercenti hanno chiuso le attività; gli studenti a Yangon hanno dispiegato striscioni contro la dittatura. A rompere il silenzio solo l’applauso fragoroso, in segno di sfida nei confronti dei militari. Eppure tutte queste azioni sono rischiose: la giunta ha avvertito che queste azioni possono essere considerate reati contro l’autorità, e quindi essere punite col carcere. Secondo Amnesty International, in Birmania nell’ultimo anno oltre 1400 manifestanti sono stati uccisi, mentre 8.000 persone sono ancora in carcere. Innumerevoli le denunce di esecuzioni sommarie, torture, stupro, tutti reati compiuti dai militari; 400mila gli sfollati interni, legati soprattutto a raid dell’esercito. L’ex leader del governo civile Aung San Suu Kyi è già stata condannata a sei anni per false accuse, e ne rischia altri 100. La povertà e la crisi sanitaria stanno mettendo in pericolo la vita di milioni di persone, a partire dai bambini.

Di certo però un anno fa la giunta militare non aveva previsto che la popolazione avrebbe opposto questa resistenza. Non ci sono infatti solo le proteste pacifiche: in Birmania oggi è attiva una vera e propria rivolta armata, con attacchi alle forze armate che si fanno via via più coordinati, e che hanno raggiunto anche i centri cittadini. Il conflitto interno resta impari, e proprio nei giorni scorsi l’Alta Commissaria per i diritti umani delle Nazioni Unite, la cilena Michelle Bachelet, ha lanciato un nuovo appello per chiedere maggiori aiuti per la popolazione birmana. Bachelet ha anche definito inefficace la risposta internazionale alla violenza nel paese, e ha attaccato il Consiglio di Sicurezza dell’Onu e l’Associazione delle Nazioni del Sud Est asiatico (Asean) per la loro inazione. Ha annunciato a breve un nuovo rapporto dettagliato sul paese, e ha affermato che l’Onu sta indagando sui crimini contro l’umanità commessi dalla giunta birmana.

  • Autore articolo
    Sara Milanese
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    L’undicesimo episodio del podcast dell’Alleanza Clima Lavoro, a cura di Massimo Alberti, è dedicato a un tema centrale del dibattito pubblico: la Legge di Bilancio, ovvero lo strumento chiave per orientare la nostra spesa pubblica. Da sempre l’Alleanza Clima Lavoro richiama la necessità di sostenere il percorso di transizione verso un’economia a zero emissioni, integrando politiche climatiche, industriali e del lavoro, e rafforzando al contempo il welfare e la qualità della vita delle persone. La manovra economico-finanziaria del Governo per il 2026 procede, purtroppo, in direzione opposta: è una “manovra pericolosa” che, oltre a non offrire una prospettiva di decarbonizzazione, prevede un aumento delle spese militari cui si accompagnano tagli o mancati investimenti in sanità, istruzione, ambiente e politiche industriali. Nel corso della puntata emergono tutte le criticità di una Legge di Bilancio che rinuncia a svolgere un ruolo di indirizzo strategico per il futuro del Paese. Il confronto tra l’analisi della manovra e le proposte alternative per migliorarla rilancia una domanda di fondo: quale modello di sviluppo intendiamo davvero perseguire?

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