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Aziza Brahim, dai campi profughi del Sahara occidentale un inno per la libertà del suo popolo

Aziza Brahim

Dopo che la sua famiglia fu costretta all’esilio dal Sahara occidentale, Aziza Brahim crebbe nei campi dei rifugiati sahrawi in Algeria, dove passava ore ascoltando musica alla radio. I nonni chiamavano mawja le onde radio, che portavano ad Aziza suoni di tutto il mondo, e Aziza Brahim ha intitolato Mawja il suo nuovo album, aperto a tante influenze.

Nata nel 1976 in un campo sahrawi nella regione di Tindouf, appunto in Algeria, dove sua madre aveva trovato scampo dall’occupazione marocchina, Aziza non poté conoscere il padre, che era rimasto nel Sahara occidentale, dove poi morì. Dagli undici anni è stata in esilio a Cuba, dove ha studiato fino alla metà degli anni novanta, quando è ritornata in un campo di rifugiati, e seguendo la sua passione per la musica ha avviato la sua carriera di cantante: dal 2000 vive a Barcellona.

Nel 2008 ha cominciato ad incidere, e dal 2014 i suoi album sono stati pubblicati da una vivace etichetta specializzata in world music come la Glitterbeat: molto apprezzato è stato in particolare Abbar el Hamada, uscito nel 2016. Dopo la prematura scomparsa nel 2015 di Mariem Hassan, cantante sahrawi di una generazione più anziana, Aziza Brahim è in effetti oggi l'artista sahrawi più nota a livello internazionale: e se Mariem Hassan è stata un simbolo della resistenza dei sahrawi, anche Aziza Brahim nella sua produzione non manca di ricordare il dramma del popolo del Sahara occidentale. E lo fa anche in questo nuovo album, che musicalmente colpisce per la elegante fluidità dei brani e per la naturalezza con cui amalgama elementi diversi: ci sono per esempio percussioni africane così come iberiche, ma per certi brani Aziza Brahim ha chiesto al batterista di ascoltare alcune delle canzoni dei Clash che ama di più.

La guerra che nel 2020 si è riaccesa fra Sahrawi e Marocco è il contesto nel quale rivisita una canzone popolare sahrawi di lotta e resistenza; Aziza Brahim la canta con accenti che richiamano il flamenco, accompagnata dal chitarrista andaluso Raul Rodriguez, che ha creato una versione flamenca del tres, strumento a corde cubano: e così Aziza Brahim compendia in questo brano i tre grandi poli della sua esperienza di esilio, i campi sahrawi, Cuba, la Spagna.

In due brani Aziza Brahim rende omaggio a Ljadra, la nonna morta nel 2021, poetessa, importante protagonista della cultura sahrawi, e figura decisiva nell’indicarle la strada dell’impegno per la causa del popolo del Sahara occidentale. Aziza Brahim da tanti anni vive lontana dai campi profughi, ma solo fisicamente: “Non sono unicamente il mio passato – spiega – sono anche il mio presente. Mia madre, una delle mie figlie, i miei fratelli e sorelle continuano a vivere lì. Sono passati cinquant’anni. Chiunque abbia vissuto in questa condizione sa perfettamente che sono cose che ti segnano per sempre”.

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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