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Aziende di Stato a caccia d’affari

A Teheran, il premier Matteo Renzi è arrivato all’alba, alle 9 era già a Sadabad, la sede della presidenza iraniana dove è stato accolto da Hassan Rohani. Dopo aver passato in rassegna il picchetto d’onore, il premier e il presidente iraniano sono ora a colloquio. A far andare Renzi a Teheran, nonostante le tante questioni aperte in patria, è stato il business: al momento l’interscambio tra Italia e Iran è di un miliardo e mezzo di euro, nel giro di un anno si punta al raddoppio. E in un paio d’anni si potrebbe arrivare a 7 miliardi.

La delegazione italiana con cui Renzi è giunto a Teheran comprende imprenditori e manager tra cui l’ad di Eni Claudio Descalzi, l’ad di Mediobanca Alberto Nagel, l’ad di Fs Renato Mazzoncini, il presidente di Anas Gianni Vittorio Armani, l’ad di Saipem Stefano Cao, l’ad di Sace Alessandro Castellano. Tutti pronti a fare affari. In primis nelle infrastrutture, di cui l’Iran ha bisogno. A Teheran, l’Italia è in pole position, i rapporti sono buoni da sempre.

A differenza di altri interlocutori, quelli italiani non sono guardati con sospetto. Secondo la dirigenza della Repubblica islamica degli americani non ci si può fidare (il loro alleato storico, lo scià di Persia, era stato mollato senza tanti complimenti al tempo della Rivoluzione del 1979 quando avrebbe invece avuto bisogno di accoglienza negli Stati Uniti e di cure mediche perché malato gravemente di tumore); i cinesi sono pronti a pugnalarti alle spalle (e difatti hanno comprato sottocosto il petrolio iraniano, in tempo di sanzioni europee, barattandolo con merci di bassa qualità); i francesi sono troppo legati alle lobby israeliane.

Così si era pronunciato, tempo fa, il presidente iraniano Hassan Rohani. Gli inglesi? Se in Iran succede qualcosa, per i malpensanti è stata architettata a Londra, ben lo racconta il romanzo “My Uncle Napoleon”, un classico della letteratura persiana del Novecento. Degli italiani Rohani non aveva detto nulla, ma già lo sappiamo, gli italiani sono percepiti come brava gente, solo un po’ pasticciona. Rispetto ai tedeschi, che agli italiani fanno concorrenza nei macchinari da precisione, il Bel Paese ha una marcia in più perché accetta i pagamenti a sessanta giorni senza fare tante storie, mentre i tedeschi preferiscono il pagamento immediato.

E proprio qui, i pagamenti, rappresentano ancora un ostacolo al business, perché il 70 per cento dell’economia iraniana è in mano ad operatori del settore pubblico. Districarsi tra loro non è facile. Ma a rendere le cose ancora più complicate è il fatto che le banche italiane (soprattutto quelle di grandi dimensioni) non sono ancora operative, temono una qualche ritorsione da parte degli Stati Uniti. Sugli imprenditori, pende quindi la spada di Damocle delle elezioni americane. Sulle difficoltà finanziarie si sta ragionando. Mentre sembra non ci sia molta consepevolezza dei problemi legati al tasso di cambio, ma questa è un’altra storia.

Nel business, il nodo cruciale resta il sistema bancario, non ancora del tutto operativo dopo l’accordo di Vienna del 14 luglio, l’implementation day e la fine delle sanzioni a metà gennaio. A questo proposito, non è rincuorante la dichiarazione del segretario americano al Tesoro Jacob Lew secondo cui l’amministrazione Obama non permetterà, nemmeno in parte, accesso al sistema finanziario statunitense.

La decisione del Tesoro americano porta a una domanda: come faranno gli iraniani a fare business senza il dollaro? E come potranno avere accesso a quei conti all’estero congelati a causa della sanzioni? In altre parole, tenuto conto della dominanza del dollaro sui mercati internazionali, per l’Iran sarà difficile trarre il massimo vantaggio dalla fine delle sanzioni.

A Teheran, e pure all’Italia, non resterà altra possibilità che gestire gli affari in euro, come peraltro già sta facendo l’Iran con l’India. Certo è che, facendo business con ayatollah e pasdaran, occorre cautela. Almeno fino a novembre, perché l’esito delle elezioni americane sarà decisivo per capire se Washington imporrà nuove sanzioni. Nell’attesa, la Banca centrale iraniana ha chiesto al Fondo monetario internazionale di intervenire per rivedere tutte le procedure interne all’Iran e rassicurare le istituzioni finanziarie degli altri paesi.

  • Autore articolo
    Farian Sabahi
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    Il 2 marzo il governo israeliano ordinava il blocco totale dell’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Oggi, esattamente due mesi dopo, il blocco è ancora in essere e da due mesi nella Striscia non entra niente: né cibo, né acqua, né medicinali, né carburante. La situazione peggiora giorno dopo giorno, le scorte sono ormai esaurite e la fame sta dilagando. In questo contesto di blocco totale, il più lungo che Gaza abbia mai sperimentato, dove morire di fame non è più solo un modo di dire, le ong e le organizzazioni umanitarie cercano di sopperire alle colpevoli mancanze dei governi. È in quest’ottica che la nave della Freedom Flotilla Coalition, si stava preparando a partire per Gaza carica di aiuti umanitari, con l’obiettivo di rompere l’assedio. Questa notte, però, la nave è stata colpita da due droni, che hanno fatto scoppiare un incendio e ne hanno ovviamente impedito la partenza. Abbiamo raggiunto a Malta Simone Zambrin, attivista di Freedom Flotilla, che si sarebbe dovuto imbarcare oggi per andare verso Gaza.

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    Il Comitato Sì Meazza presenta un esposto alla Corte dei conti contro il nuovo stadio

    Non è arrivata nessuna proposta alternativa. Quella presentata da Inter e Milan è rimasta l’unica offerta per l’acquisto dello stadio di San Siro e delle aree vicine al “Meazza”. Il Comune di Milano lo ha comunicato, alla mezzanotte del 30 aprile, alla scadenza dell’avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni d’interesse. Un esito prevedibile, dal momento che la finestra è rimasta aperta per poche settimane. Ora proseguiranno i lavori della Conferenza dei servizi, già iniziati quando potevano arrivare anche altre proposte. Il fronte di chi si oppone ai piani dei due club e a come la giunta comunale sta gestendo la vicenda tenta ancora di interrompere il percorso avviato. Oggi il comitato Sì Meazza, dopo aver già fatto un esposto alla Procura, ha inviato alla Corte dei conti una segnalazione perché indaghi per danno erariale, chiamando in causa il Comune. Luigi Corbani del comitato Sì Meazza spiega perché ha depositato questa segnalazione.

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    1) Gaza senza cibo da due mesi. Il blocco israeliano agli aiuti continua indisturbato mentre la fame dilaga tra la popolazione. Nella notte colpita con droni la nave della Freedom Flotilla, che voleva portare aiuti nella striscia. (Sami Abu Omar, Simone Zambrin - Freedom Flotilla) 2) Guerra in Ucraina. Secondo le Nazioni Unite la situazione lungo il fronte è peggiorata da quando sono iniziati i negoziati per il cessate il fuoco. In esteri la testimonianza da Sumy. 3) Germania, i servizi segreti classificano Afd come partito estremista. I leader del partito rispondono: azione politica, ci difenderemo. (Alessandro Ricci) 4) L’effetto Trump sulle elezioni nel pacifico. Domani Australia e Singapore al voto. In entrambi i casi i dazi americani hanno ribaltato i sondaggi. (Lorenzo Lamperti) 5) Mondialità. La partita sul clima si gioca tra Usa e Cina. (Alfredo Somoza)

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